Mauro Rea, un arpinate con un sogno chiamato Spartathlon.

Sinceramente non saprei bene dove iniziare per raccontare questa fantastica avventura, penso proprio però che bisogna partire dall’inizio, da quando questo sogno ha iniziato ad aleggiare nella mia mente.

Ho iniziato a correre relativamente da poco tempo, era il 2011 quando mi sono avvicinato per la prima volta alla corsa. Da allora, però, non ho più smesso, la corsa è prepotentemente entrata nella mia vita, cambiandola e condizionandola in meglio. Correre è diventato semplicemente uno stile di vita.

Nel corso degli anni ho disputato tantissime gare fino ad arrivare a percorrere lunghe distanze, le famose ultramaratone. Queste ultime sono le gare che più mi hanno appassionato. Sono indubbiamente le gare più dure, quelle più estreme, quelle più difficili, ma anche quelle che hanno un fascino particolare, oserei dire unico. Sono quelle gare dove l’atleta non gareggia contro qualcun’altro, ma contro se stesso, contro i suoi limiti e le sue fragilità.

Dopo aver corso il mio primo PASSATORE, gara storica di 100 km, sono andato a ricercare quale gara al mondo potesse avere il fascino dell’impossibile. Quella gara si chiama SPARTATHLON e per gli ultramaratoneti rappresenta semplicemente il SOGNO.

Alcune informazioni per capire meglio di cosa si sta parlando: innanzitutto la lunghezza della Spartathlon è di 246 km, cioè la distanza tra Atene e Sparta.

Questa gara è caratterizzata dal grande caldo e il suo tracciato si snoda su sentieri sconnessi e fangosi, attraversando vigneti e uliveti, arrampicandosi su ripidi pendii e, soprattutto, accompagnando i corridori, nel cuore della notte, sui 1200 metri di altitudine del Monte Partenio.

Questa è la montagna, ricoperta di rocce e cespugli, sulla quale si dice che Filippide abbia incontrato il Dio Pan.

L’ascesa è segnata da una scia di luci colorate lampeggianti alimentate a batteria. Oltre la montagna, l’ultima parte del tracciato non è meno spossante e faticoso per i corridori. L’arrivo e il traguardo si trovano ai piedi della statua che ritrae Leonida, re di Sparta fino al 490 a.C.

Solitamente solo un terzo circa degli atleti che partono da Atene riesce a raggiungere Sparta entro il tempo limite di 36 ore. Oltre il tempo limite finale, questa gara è caratterizzata anche da 75 cancelli da superare rispettando l’orario consentito, pena l’espulsione dalla gara.

Per potersi iscrivere e sperare nel sorteggio bisogna inoltre avere delle credenziali agonistiche, aver cioè percorso in una gara di 24 ore almeno 180 km.

Personalmente avevo raggiunto il requisito nella 24 ore di Policoro e a gennaio provo a fare la preiscrizione nella speranza di essere sorteggiato.

In prima battuta non sono tra i 390 fortunati, ma ho grosse possibilità di rientrare in quanto sono uno dei primi tra i possibili ripescati. A maggio la conferma di essere ufficialmente iscritto.

Per la prima volta un ciociaro, un arpinate sarebbe stato ai nastri di partenza dell’ultramaratona più dura al mondo. Dal quel momento ho fatto il possibile per portare la bandiera della mia città ai piedi di Leonida.

Mi sono affidato a professionisti che mi hanno seguito e consigliato, non posso non citarli, Francesco Mallozzi per quanto riguarda la preparazione atletica e Massimo Riti per quanto riguardo l’aspetto nutrizionale.

Ho iniziato, quindi, una preparazione specifica molto dura e per certi versi estenuante. Ma a tutti i costi volevo arrivare pronto all’appuntamento.

Oltre all’allenamento fisico, per affrontare questo tipo di gare è molto importante l’allenamento mentale, bisogna riuscire a rimanere concentrati per moltissime ore e obiettivamente non è cosa semplice, bisogna imparare a conoscere perfettamente il proprio fisico e i propri limiti, capire come gestirsi e come affrontare le inevitabili crisi che potrebbero arrivare.

Inoltre è importante avere il supporto tecnico di persone al seguito che devono essere in grado di intervenire nei momenti di difficoltà. Al team oramai collaudato, composto da mia moglie e mia cognata, quest’anno si sarebbe aggiunto anche mio figlio.

Finalmente il 28 settembre si parte destinazione Atene. Passo due giorni in compagnia degli atleti italiani, tutti di grande valore, alcuni con diverse edizioni alle spalle della SPARTATHLON portate a termine, altri come me alla prima esperienza, ma tutti timorosi e consapevoli di dover affrontare l’ultra più dura al mondo.

La notte prima della gara dormo poco, l’ansia inizia a farsi sentire prepotentemente, in quelle lunghe ore mi tornano in mente tutti gli incitamenti avuti durante questi mesi, le belle parole d’incoraggiamento degli amici e del sindaco di Arpino Ranato Rea che non mi ha mai fatto mancare la sua vicinanza e quindi quella di tutta la mia cara Arpino.

Alle ore 07.00 del 30 settembre, sotto lo spettacolare scenario dell’acropoli di Atene, finalmente si parte. Inizia così la mia più entusiasmante avventura da runner.

Nei primi km mi unisco ad un gruppetto di atleti italiani che già avevano corso la Spartathlon, decidendo di farmi guidare dalla loro esperienza.

Mi accorgo, però, che nonostante il ritmo non sia elevato, qualcosa non va, la mia frequenza cardiaca è abbastanza alta. Preferisco, pertanto, rallentare lasciando andare avanti gli amici italiani.

Bisogna sapere che una delle difficoltà di questa gara sono i famosi 75 cancelli, ogni cancello fissa i limiti di tempo per arrivare a quello successivo, in questo modo praticamente non si posso aver pause durante tutta la gara.

Con il mio passo riesco comunque ad avere circa 25 minuti di vantaggio sul passaggio ai cancelli, vantaggio che riesco a portare fino al km 130. Dopo, però, nel tratto più impegnativo, dove in 10 km bisogna affrontare oltre 1200 metri di dislivello, il vantaggio si assottiglia fino ad arrivare a 10 minuti prima dello strappo più duro in assoluto.

In soli 2 km un’ascesa con 400 metri di dislivello e con terreno sterrato da affrontare di notte salendo a tratti mani e piedi.

Nonostante la stanchezza riesco a raggiungere la cima della montagna, mi concedo una piccolissima pausa e riprendo a correre. I minuti di vantaggio sui cancelli tornano a salire, arrivo ad avere 35 minuti sul cancello 62, quando ormai mancano poco più di 40 km all’arrivo e con il tratto di strada più facile.

A quel punto penso e mi illudo di arrivare tranquillamente ai piedi di Leonida. Invece dopo 5 km circa inizio ad avere problemi gastrointestinali, devo fermarmi per vomito, riparto, ma mi accorgo che non riesco più a correre e nemmeno a camminare bene.

Raggiungo il cancello successivo con il vantaggio quasi del tutto annullato. Proseguo ancora, ma al cancella 64, KM 210, ormai senza più forze e con solo un minuto di vantaggio sul cancello decido di fermarmi. Subito dopo a seguito di svenimento vengo portato in ospedale, fortunatamente nulla di grave. Il troppo caldo aveva avuto il sopravvento.

Questo è il racconto tecnico della gara. Vorrei, però, soffermarmi e farvi conoscere anche l’aspetto più intimo, quello che ha visto coinvolgere le mie emozioni, quello, cioè, per cui è veramente valsa la pena affrontare questa fantastica avventura.

Durante tutte le mie ultramaratone la costante presenza di mia moglie è stata sempre fondamentale, sentivo che non volevo e non potevo deluderla. Portare a termine le gare era anche una mia forma di ringraziamento per tutto quello che lei aveva fatto per me.

Questa volta, però, avevo uno stimolo in più: mio figlio aveva deciso di seguirmi in questa avventura. Durante tutta la gara era li ad incitarmi, a darmi consigli, a massaggiarmi i piedi.

Mi veniva incontro ad ogni cancello, mi affiancava ed insieme a me percorreva alcuni metri di corsa. Mai come in quelle ore avevo sentito così forte l’amore di mio figlio nei miei confronti.

Ribaltando i ruoli della vita era lui a darmi consigli, ad incoraggiarmi ad andare avanti e a non aver paura di affrontare la salita più dura. Quando poi inevitabilmente è giunta la crisi e le forze mi mancavano, prima mia moglie (non correrebbe nemmeno sotto minaccia) e poi mio figlio mi hanno affiancato ed insieme a me hanno percorso correndo centinaia di metri continuando ad incitarmi.

Al cancello 64, quando mi sono dovuto arrendere, ero sì deluso per il mancato raggiungimento del traguardo tanto desiderato, ma ero felice per tutte le emozioni che avevo provato.

Mi hanno riempito il cuore di gioia anche tutti gli incitamenti avuti dagli amici e conoscenti da casa. Sapere che così tante persone mi stavano seguendo in questa fantastica avventura è stato veramente commovente.

Ancora grazie a tutti

Mauro Rea