“Ma come sono stato male bene quella volta.”

Nell’ultimo podcast di Paolo Nori, intitolato “A cosa servono i russi”, lo scrittore di Parma racconta di quando, insieme a un gruppo di intellettuali, fondò una rivista chiamata “Qualcosa”.

In un numero in particolare, si parlava del dolore legato alle storie d’amore finite male, quelle che poi restano indelebili nella memoria. Nori, con il suo stile inconfondibile, disse: “Ma come sono stato male bene quella volta.”

Ci piace pensare alla fine di un rapporto d’amore come quando sei alla fine di una competizione a cui hai dedicato tutto te stesso: profuso le migliori energie, mostrato il tuo lato più vulnerabile e, al contempo, dimostrato la tua capacità di adattarti alle salite, tanto fisiche quanto emotive.

Quella frase, “ma come sono stato male bene quella volta”, sembra adattarsi perfettamente a ciò che proviamo nei confronti della nostra passione sportiva.

Un dolore fisico che diventa la misura della nostra presenza nel mondo, nei contesti più diversi: urbani, naturali e, se vogliamo, anche digitali.

Pensateci, la prossima volta che terminerete una gara o un allenamento estenuante: riflettete su come state “male bene”.

E, se vi va, ascoltate Paolo Nori, magari proprio mentre correte.