Lo sport amatoriale è fatto per il 50% dalla fatica e per il restante 50% dalle emozioni provate per raggiungere il traguardo. Ci sono stagioni in cui le proporzioni cambiano, ma di fatto, gli ingredienti che ci conducono sulla finish line, sono sempre gli stessi.
Con gli anni l’impegno cambia e più diventiamo adulti, più stagioni abbiamo alle spalle o sotto i piedi, e più sentiamo il bisogno di emozionarci in modo diverso, anche allenandoci in modo diverso.
Di conseguenza le gare e le distanze si modificano, in un equilibrio che ha come fulcro la nostra diversa capacità di adattamento alla fatica.
Ma pensiamo ai nostri figli, a coloro per i quali si sta discutendo molto in termini di gestione delle emozioni, come mezzo per raggiungere un’accettazione di sé in relazione con il prossimo, chiunque esso sia, uomo-donna.
Da come i ragazzi si pongono davanti alle proprie emozioni che può scattare o meno un comportamento diverso, pacato o purtroppo violento.
Da genitore mi faccio carico di molte responsabilità educative, figlie di tanti sì e a volte pochi no, di aver fatto trovare un mondo dove tutto è a disposizione, a portata di click e di like.
Di una rete di rapporti a volte troppo digitale e poco reale. In tutto questo flusso di bit sono rimasti fuori i click mentali che possono portare i figli e le figlie a capire quali sono i loro limiti e le loro possibilità.
Provando a fare un parallelo con le nostre vite sportive, quanto può fare lo sport in età adolescenziale in termini di accettazione di un proprio confine?
Non sto parlando di montagne da scalare o di record da battere a 15 anni, ma bensì di accettare le possibilità, al pari di un’amicizia o di un carattere non in linea con il proprio sentire.
Lo sport è fatto di relazioni, anche il più solitario tra tutti come il tennis ha dei momenti in cui un gruppo di singoli può portare a casa una coppa. Perfino il maratoneta fa squadra con l’avversario per superare una salita.
In un siffatto quadro immaginario, con tante sfumature, i nostri figli possono capire fin dove possono arrivare, assecondare un avversario più forte e accettare una sconfitta davanti a una prova per loro impossibile.
Capire che lo sport è fatto di fatica ed emozioni è comprendere che ogni rapporto umano porta con sé le stesse alchimie.
Vivere con una persona, stare seduti accanto al proprio compagno di banco o di lavoro è un lavoro quotidiano dove ognuno ascolta, partecipa, accetta e scambia le capacità e sostiene chi in quel momento vede tutto nero.
Sarebbe bello se i nostri ragazzi capissero che la vita è una grande maratona dove a volte si è gregari o altre si passa in testa. In mezzo c’è tutto un vissuto in cui chi l’ha corsa prima di te ti fa capire fin dove puoi arrivare, accettando sconfitte e limiti emotivi anche di chi corre con loro.