L’incubo dell’allenatore: quando l’atleta è un artista del caos

C’è chi segue il programma di allenamento con disciplina quasi militare, chi misura ogni passo, ogni battito, ogni respiro. E poi ci sei tu. Sì, proprio tu, che trasformi ogni seduta in un atto di ribellione creativa, un happening sportivo tra teatro dell’assurdo e tragedia greca.

L’allenatore ha spostato l’allenamento per te. Il gruppo si è adattato. Tutti hanno modificato agende, impegni, vite. E tu? Semplicemente non ti presenti. Perché, in fondo, lo sport è libertà, no? Libertà di non dire nulla e sparire con eleganza.

Quando ti presenti, lo fai con mezz’ora di ritardo. “Ma ieri sarebbe stato perfetto”, dici, con la convinzione di chi pensa che il tempo si pieghi al proprio calendario emotivo.

A volte dichiari con fierezza di allenarti da solo. “La corsa è uno sport per lupi solitari”, spieghi, mentre pubblichi storie su Instagram dal bar sotto casa, con un Negroni in mano e zero chilometri nelle gambe.

Sei anche un nostalgico, e non perdi occasione per ricordare l’allenatore che avevi prima, la squadra che avevi prima, lo sport che facevi prima. Ogni allenamento diventa una seduta di psicanalisi collettiva in cui il passato è sempre meglio del presente. Peccato che nessuno ti abbia chiesto nulla.

Le gare? Una barzelletta. Le sbagli tutte, con una coerenza che sfiora il talento. Ma tu continui a dire che hai una “strategia a lungo termine”. Quanto lunga non si sa, ma ormai nemmeno il tuo Garmin ti prende più sul serio.

Durante gli allenamenti sei sempre un metro avanti. Non per brillantezza atletica, ma perché hai sbagliato gruppo. Di nuovo. E dire che stavolta stavano pure correndo il tuo stesso sport.

Ah, lo sport. Cambi disciplina con la frequenza con cui altri cambiano le scarpe. Ogni settimana ne scopri uno nuovo, e ogni volta è quello giusto. Fino al prossimo.

A proposito di motivazioni: c’è chi corre per superare i propri limiti, chi per scaricare lo stress. Tu, invece, usi il gruppo per socializzare. O meglio, per rimorchiare. Invano. E quando non ci provi, vendi paccottiglia motivazionale in formato vocali da tre minuti.

E poi c’è la tua vera essenza, la cifra stilistica che ti distingue: fai come cazzo ti pare. Sempre. Da quando sei nato. Sei il punk del cronometro, l’artista maledetto della tabella settimanale. E forse, in un universo parallelo, un allenatore ti capirà davvero.

Ma non è questo il caso.