Caro Babbo Natale,
ti scrivo con il cuore leggero, le gambe appesantite dai tanti chilometri ma carico di desideri. Non ti chiedo nuovi gadget, scarpe di ultima generazione o un personal best impossibile. No, quest’anno il mio dono è molto più semplice, ma altrettanto prezioso: vorrei continuare a correre con la spensieratezza del bambino che sono stato, quando tutto era un gioco e ogni passo era pura libertà.
Ricordi quei giorni? Scarpette di gomma, pantaloncini corti e pozzanghere che sembravano oceani da attraversare. Il freddo pungente sulle guance e l’acqua che schizzava ovunque non erano un ostacolo, ma parte della magia. Correre non era una sfida contro il tempo, ma una gioia senza confini, un impulso naturale. Oggi, ogni volta che metto piede sul sentiero, cerco quel momento.
Essere un runner, Babbo, è questo: tornare bambini. Non importa l’età, non importa il cronometro. È un atto di ribellione contro i limiti mentali, contro le aspettative e gli schemi rigidi che la vita adulta spesso ci impone. Correre è ritrovare quella parte di noi che si rifiuta di arrendersi, che vuole vivere ogni istante con la stessa intensità di una falcata sulla linea di partenza.
Ma c’è qualcosa che temo di perdere. La leggerezza. La capacità di godermi il viaggio senza pensare al traguardo. Quel momento in cui mi sento unico, diverso da tutti, perché ogni passo è mio, solo mio, e nessuno può replicarlo. Voglio che rimanga così, Babbo: semplice, puro, vero.
Quindi, ti prego, metti nel tuo sacco un po’ di quella gioia primitiva, di quello spirito che mi spinge a superare non solo i chilometri, ma anche le paure, le insicurezze, i muri invisibili che la mente costruisce. Fai in modo che io possa continuare a essere un “bambino cresciuto” con lo stesso entusiasmo di sempre, con la stessa voglia di schizzare nelle pozzanghere del parco e sentirmi vivo.
Perché, in fondo, noi runner siamo fatti così, per fortuna. E io, Babbo Natale, non voglio mai smettere di esserlo.
Con gratitudine,
Un podista amatoriale.