Avendo ripreso a correre, appariva di buon auspicio provvedere all’acquisto di un nuovo paio di scarpette. Come per esorcizzare le difficoltà che mi aspettano (nel tornare poco meno che “passabile”), sperando che “loro” possano assumere, in carico, parte della fatica.
Funziona come la “coperta di Linus”: un oggetto “consueto” assume una configurazione finalizzata ad un effetto positivo. Le scarpe nuove corrispondono, dunque, ad una volontà per la (realizzazione della) quale serve un catalizzatore. Mi viene in mente l’arachide per Super Pippo e, in effetti, benché sia allergico alle medesime, quanto a pippitudine non mi sento secondo a nessun tapascione. C’è una gerarchia anche nei tapascioni e ci si avvicina alla vetta con le scarpette nuove di pacca.
Come scrissi in altra occasione, per conseguire la vetta della consacrazione occorre però acquistare quelle con la “coda” in fibra di carbonio, altitudine – con una punta di rammarico – non ancora valicata dal sottoscritto (esistono dei limiti invalicabili, come quelli delle caserme dove ti sparano a vista).
Dopo alcune marche che potrei scriverci un libro di memorie, mi sono “stabilizzato” sulle Adidas dal momento che hanno cominciato a produrre modelli non troppo “avvolgenti” (con le Mizuno, per questa loro caratteristica, per curare la fascite plantare, ho finanziato alcune rate del mutuo del nuovo appartamento del caro Peppe Minici).
La scelta era caduta, dopo la “mitica” Supernova, su una serie di modelli il cui elenco non vale la pena di ripercorrere, tra un boost e le suole della Continental, fino ad approdare, felice, sulle “SolarGlide”, un modello “nato” evidentemente, nottetempo, con un calco sulle mie appendici. Inutile aggiungere di quanto fossi ansioso di indossare la più recente release, con l’impegno del loro esordio ufficiale all’Appia Run.
Gianfranco di LBM – fornitore ufficiale – trattandomi, più o meno, da neofita (nonostante le 50 paia di scarpe acquistate in 15 anni) mi fa presente che, “da tempo”, quel modello è uscito di produzione. Calcando l’accento sul tempo trascorso, sì da rimarcare la mia latitanza dall’asfalto, mi raccomanda vivamente il modello “Rise” della rediviva “Supernova”, ideale – dice lui – per un tapascione che deve stare “comodo” e che non ha alcuna velleità di misurarsi con personal best degni di nota.
Si torna, dunque, a calcare le Supernova. Il passato che torna: sarà un buon auspicio?
Tra il dire ed il comprare può, però, sorgere qualche contrattempo.
Pare, infatti, che il mio piede sia molto comune e, pertanto, le nuove scarpette andavano pure sospirate benché disposto a pagarle in moneta contante (o con tanta moneta, il che è lo stesso). Lunghi appostamenti (agguati e visite improvvise) non sortivano alcun effetto: Anthony, sconsolato, non sapeva più che cosa dirmi, se non che Gianfranco aveva chiesto al produttore di realizzarmene un paio su espressa ordinazione.
Finché, dato che siamo corridori di “resistenza”, a forza di insistere, alla lunga si ottiene il risultato e ieri ho potuto entrare in possesso delle mie nuove scarpette (e, per non correre rischi, ne ho comprate addirittura due paia). Tra qualche giorno faranno il loro esordio e già mi guardano fiduciose: se le tratterò bene, loro faranno altrettanto con me. Ci faremo compagnia per qualche centinaio di chilometri, dividendo gioie e dolori (più questi ultimi, mi sa). Ché il podista è anche le sue scarpe. Non importa che siano un prodotto realizzato in serie, le “mie” rise una volta “misurate” sulla strada non saranno eguali a nessuna.
[Nota: con l’occasione, un saluto al Balzano per l’apertura del nuovo negozio. Un luogo in più dove “conoscere” le proprie scarpe…]