Stamattina ho corso. “E dove sta la novità?” starete pensando.
Non è così scontato.
Sono ferma come tante volte è successo a chi corre, fate voi la causa, ginocchio, muscolo iliaco, flessore, piede, caviglia, tibiale…
Per 20 giorni ho provato ad abitare il divano, ma non posso. Non ci riesco, non ce la faccio. Le mie nuove abitudini, quelle che ho acquisito da quando faccio sport, me lo impediscono.
Ho provato a camminare, ma non faccio altro che guardare con amarezza le persone che mi superano correndo.
Dopo 30 giorni ho deciso di provare. Il fastidio si sta attenuando e così stamattina ho provato sensazioni meravigliose.
Le gambe come due molle mi facevano saltellare con la mia solita andatura da ballerina, in punta di piedi, così come entro nel vivo delle faccende della mia vita, con pudore e stupore per quanto è normale nella vita di tutti.
Ho sentito la terra umida sotto le scarpe mimando un movimento ampio e veloce come se lo vivessi al rallentatore, per non disturbare le mie gambe doloranti.
“ehi voi! Mi ascoltate? Li dentro…Potete fare le brave solo per un giro? Solo 1 km piano piano…solo per il gusto di sentirmi viva, ci state?”
Ho camminato. Ho recuperato e sono ripartita. Ho portato a casa il mio primo km dopo un mese ed è stato come correre una maratona, passare il traguardo e ricevere la medaglia, la più scintillante che io abbia mai avuto.
Avevo timore che piovesse, avevo timore di non farcela e invece piano piano ho portato a casa il mio obiettivo.
L’odore degli alberi inumiditi dalla nebbia della mattina mi ha riempito il respiro e l’anima. Non credevo che fosse possibile ascoltare ogni centimetro, vivere ogni respiro.
Quante volte mi sono alzata con la frase “non mi va” che scorreva negli occhi come gatto Silvestro dopo un colpo in testa.
Quante volte avrei voluto girarmi dall’altra parte e dormire perché avevo preso sonno solo alle ore piccole.
La verità è che ora sto capendo quanto sia duro privarsi di quello che ci fa stare bene senza avere cognizione del tempo che ci vorrà a recuperare.
Quando mi hanno detto tra quindici giorni puoi fare la lastra ho pensato che dopo quindici giorni sarei tornata a saltellare per le strade della capitale schivando buche, pozzanghere e auto in doppia fila, litigando per un posticino sulla ciclabile, discutendo con le persone che non capiscono il motivo per cui chi corre non può indossare la mascherina.
Invece no. È tutto al rallentatore, al contrario del mio cuore.
Quando ho mosso i primi passi ho pensato “sto tornando”, incerta come un bambino che comincia a camminare, timorosa come la prima volta che ho fatto quindici chilometri. La sensazione non la dimenticherò mai. “Un piccolo passo per un vero atleta, è un grande passo per me che ho cominciato pochi mesi fa”
La sensazione che provo è quella della posa della prima pietra. La prima pietra di una nuova me, magari più attenta ai segnali del suo corpo, alla stanchezza, alla febbricola serale, ai dolori muscolari.
Poi inevitabilmente penso “ma a chi la racconto?”.
Continuerò come sempre a spazzare sotto il tappeto, a far finta di nulla per non fermarmi, per non perdere i progressi fatti, per continuare a provare la meravigliosa sensazione di estasi che solo la corsa mi sa dare.
Per continuare a sentirmi viva.
La sensazione di seccatura che si prova normalmente quando ci facciamo male è profondamente diversa da quella che si prova quando è il motore a grippare.
Subentra un senso di paura ed impotenza. Stavolta non dipende da me. Non sono io a condurre la battaglia. Non sono più un soldato che fa le sue fisioterapie e attende leccandosi le ferite finché non si rimarginano.
Non sono io a condurre il gioco, ma sono portata in un valzer di attese interminabili e volteggio immersa nelle mie crinoline su un pavimento scivoloso cercando di non cadere, mentre il tempo scorre lento senza passare mai.
Sono come un funambolo con in mano un ombrellino, sospeso tra due altissimi grattacieli. Ferma. Paralizzata dalla paura e scossa dall’impazienza.
Mi riempio le tasche di sassi e torno con i piedi per terra mentre cerco di pensare con lucidità al fatto che sono una fortunata perché posso uscirne con un po’ di giudizio e tanta pazienza, ma oggi, solo oggi, mi sento felice per aver intravisto una luce, per aver sentito la strada, per aver fatto riaffiorare la mia passione.