L’allenatrice non è mai soltanto una figura che impartisce ordini o corregge movimenti. È un pilastro silenzioso, ma insostituibile, nella vita dei suoi ragazzi e delle sue ragazze. Dagli spalti, dove le borse trovano posto, fino agli spogliatoi dove si indossano i costumi da gara, lei c’è, come un’ombra rassicurante.
Nel giorno della competizione, l’allenatrice è il porto sicuro in mezzo alla tempesta delle emozioni. Sa leggere gli sguardi dei suoi atleti, comprendendo le tensioni che non trovano parole. È lì per proteggere i loro animi giovani dalle incertezze, quelle che inevitabilmente accompagnano ogni traguardo ambito e ogni paura di fallire.
Per la squadra, l’allenatrice è un punto fermo. In un momento in cui la vita sembra un continuo rincorrere onde, lei diventa la boa attorno alla quale si orientano i pensieri e le emozioni di un intero gruppo. Ha il dono di filtrare quelle paure e insicurezze tipiche dell’adolescenza, ripulendole e restituendole sotto forma di incoraggiamento e determinazione.
Sa cosa dire e come dirlo. Una parola detta nel momento giusto può fare la differenza in una gara che dura pochi istanti, minuti o secondi. Il nuoto, sport silenzioso e metodico, richiede non solo muscoli ma anche una mente allenata alla concentrazione, e l’allenatrice lo sa bene.
Il suo compito non si limita alla gestione emotiva. L’allenatrice è anche quella che assegna carichi di lavoro che sembrano insopportabili, ma che a 17 anni si affrontano con la forza instancabile di chi ancora sogna. Cinque allenamenti a settimana in vista di una gara, chilometri di vasche che tingono la pelle di cloro e trasformano braccia e gambe in macchine veloci e precise.
Conosce ogni postura, ogni movimento. Sa quando spingere ancora e quando, invece, offrire una pausa. È severa, ma non crudele; comprensiva, ma mai indulgente. È consapevole che ogni lavoro assegnato in vasca è una tessera in quel mosaico più grande che è la crescita dell’atleta, non solo come sportivo, ma come persona.
La bellezza del suo ruolo va oltre i trofei o le medaglie. L’allenatrice sa che il suo vero lavoro si vede quando la vita chiama i suoi ragazzi a sfide più grandi di una gara. La vasca, con i suoi ritmi e le sue regole, è un microcosmo perfetto per insegnare la disciplina, la resilienza e la capacità di affrontare le difficoltà con grinta.
La scuola, oggi, sembra aver compreso l’importanza di questo equilibrio tra studio e sport. La collaborazione tra questi mondi permette di preparare i giovani non solo per i podi, ma per affrontare il mondo con maturità e sicurezza. È un allenamento per la vita, dove non ci saranno medaglie, ma conquiste più intime e durature: la capacità di camminare con le proprie gambe e crescere ancora, questa volta da soli.
Solo quando il ciclo si completa, l’allenatrice può accomiatarsi dai suoi ragazzi, consapevole di aver fatto il lavoro più bello del mondo. Ha plasmato non solo atleti, ma persone capaci di affrontare la vita con determinazione e speranza.
Le sue parole, i suoi sguardi, e persino la sua severità rimarranno impressi nei cuori di quei giovani che, grazie a lei, sapranno trasformare ogni sfida in una nuova occasione per crescere e vincere, dentro e fuori dalla vasca.