Ha ragione Marco Raffaelli quando scrive che la Roma-Ostia non è una corsa qualsiasi, ma è “la corsa”,
Tra i runners della capitale non si parla d’altro almeno 3 mesi prima del 5 marzo.
Bello ed interessante anche l’articolo di Antonella Scutiero quando racconta per LaPresse la storia della Roma-Ostia, intervistando Luciano e Laura Duchi.
Ma i protagonisti come la vivono la Roma-Ostia?
Non parlo degli elite runners, ma di tutti coloro per i quali l’obiettivo è vivere una giornata di sport e magari migliorare la propria prestazione sulla mezza maratona.
Certo non si può dire che si corra la Roma-Ostia per il suo panorama o le sue amenità, ma ha dalla sua parte una lunga tradizione: 48 edizioni quest’anno e la grande partecipazione anche da parte di molti stranieri.
Per me è un appuntamento speciale per un ulteriore motivo, perché corro facendo da pacer a mia figlia, con l’obiettivo di aiutarla a migliorare il suo tempo sulla distanza, e, aggiungerei, per avere con lei delle foto di quella che è una passione che condividiamo, infatti, è la prima volta che riusciamo a correre insieme dalla partenza una 21k.
Bisogna sapere, come premessa, che io e mia figlia siamo entrambi nati sotto il segno dell’ariete e questo vuol dire, per chi conosce e si interessa di oroscopi, oltre al gap generazionale, che c’è sempre contrasto ogni questione, da quella più frivola a quella più seria, figuriamoci sulla corsa.
Ma torniamo alla Roma–Ostia e al turbinio di emozioni che è in grado si suscitare quanto padre e figlia decidono di correrla insieme.
La gara inizia con il rito del ritiro del pettorale, dove nasce subito la prima questione: “foto si”, “foto no” davanti ad un onnipresente Roberto Dalmazi.
Alla fine della conta esce fuori “foto si”, e che la Roma-Ostia abbia il suo inizio.
La mattina della gara, appena giunti in prossimità del ritrovo, la valutazione è sul come proteggersi dal freddo, nel tempo che intercorre tra il deposito del bagaglio sul camion e l’inizio della gara (che può essere 1:15 o 1:30 h, è esclusa la prima onda per meriti di tempo).
– (M) Tommy (ovviamente il termine papà è démodé) la tuta da imbianchino non la metto! Non mi va di sembrare ridicola!
– (T) Fidati la tuta la mettono in molti e nessuno presterà attenzione al tuo abbigliamento, vedrai quante protezioni improbabili ci saranno, dal bustone della mondezza al pigiama da buttare.
– (M) Ti ripeto io la tuta non la metto, non si discute, uso la maglietta presa ad una delle tante corse disputate!
Poco dopo, appena raggiunti i camion ed aver verificato quanto da me affermato:
– (M) ho cambiato idea, hai portato la tuta da imbianchino pure per me?
– (T) meno male che non la volevi. Ne ho portate 2 per sicurezza (avrei osato aggiungere: conosco il mio pollo, ma è inutile riscaldare il clima, tanto succederà sicuramente durante la corsa).
Tutto sembra filare liscio fino al momento della partenza, selfie di rito con gli amici e compagni di squadra e pronti per il via!
Tra il primo ed il 10km, non ci sono particolari sussulti, se non il fatto che la tabella di marcia preveda un ritmo medio a 5:20.
Ma il primo tratto è più semplice, la salita del camping a partire dal 10km al 14km è una ascesa continua, è meglio avvantaggiarsi di qualche secondo, passando ai due rilevamenti del 5km e 10km a 5:15.
Partiamo in 6, e rimaniamo insieme fino al 5km, dal 5km al 10km siamo in 4, durante la salita diventiamo in 3 e cominciano i problemi!
– (M) Mi fa male il ginocchio! Ecco lo sapevo che non dovevo venire con te! Mi hai fatto morire e adesso non so come arrivare al traguardo.
– (M) Ecco mi hai pure portato sfiga! Lo sapevo che mentre mi dicevi in macchina che lungo il percorso non avrei avuto modo di fermarmi mi sarei fatta male!
– (M) Sei sempre il solito, basta è l’ultima volta che vengo con te (in realtà questa frase è stata già pronunciata almeno altre 4/5 volte sui 10k)!
– (T) Ma dai, è possibile che ti sia già fatta male? Sarà una suggestione.
– (M) Zitto! Non mi parlare, non ti voglio più sentire! Vai da solo (certo, per farmi poi insultare al traguardo perché l’ho lasciata sola).
Durante tutta questa pantomima, Domenico, il nostro compagno di viaggio, fa finta di nulla, lui si che ha capito tutto.
Ha parafrasato la celebre frase “tra moglie e marito non mettere il dito” e continua con noi il suo percorso senza fiatare.
Al 12km succede la cosa che non sarebbe mai dovuta succedere, veniamo ripresi e sorpassati dal pacer di 1:55 h. Dico a Domenico di andare avanti, io rimango indietro con Martina.
– (T) Ci agganciamo al pacer e ci facciamo portare?
– (M) Ti ho già detto di stare zitto. Mi hai fatto fare male e spompare! Tutta colpa tua!
È l’apice del dramma sportivo e la mia sicura fine una volta giunti prima al traguardo e poi a casa (già vedo i titoloni dei post sulle chat di amici e parenti: padre snaturato convince la figlia a correre la Roma-Ostia e la fa infortunare).
Ma ecco che succede qualcosa di non ipotizzabile, che sfugge alle logiche tra quanto dichiarato e quanto messo in atto.
Martina aumenta l’andatura, torno vicino a lei (perchè in questa fase non mi è concesso il diritto di prossimità) e dal 6:06 del 13km passiamo al 5:43 del 14km, fino al 4:59 del 15km. Nella sua testa è finalmente scattata la molla del “non devo mollare”.
Il pacer di 1:55 h viene ripreso e superato e per gli altri 2km il ritmo rimane a 5min/km. Certo la discesa aiuta, ma la “testa” fa la sua parte.
Domenico viene ripreso e torna a correre con noi.
Adesso avviene il fenomeno opposto a quanto era successo in salita, siamo noi a riprendere e superare quanti ci stanno davanti.
Ho capito che non bisogna più farle pensare che ha dolore (?) e distrarre la mente.
Mi sintonizzo su “RadiomonologoTommy 24h”.
Non credo di aver mai detto tante sciocchezze tutte insieme (chissà cosa direbbero i miei studenti):
17km, “lo sentite l’odore del mare? Ci siamo. Si può addirittura sentire la risacca”;
18km, “dai che il traguardo è vicino, oggi fate il vostro PB e sarete felici come mai, da adesso è solo questione di testa”;
19km, “sento quelli che sono già arrivati e si stanno facendo il bagno, tra poco tocca a noi, non potete mollare adesso!”;
20km, “questo è l’ultimo segnalatore di km che vediamo, proviamo ad andare in leggera progressione”, “state andando alla grandissima farete un gran tempo!”.
È proprio vero che la testa in questo sport aiuta.
Sia Martina, che deve chiudere in 1:52:51h, che Domenico, che deve chiudere in 1:59h, percepiscono che l’obiettivo è vicino.
Si concedono pure, su mio sprone, un sorriso davanti ai fotografi: “voglio una foto in cui ci siamo tutti e tre sorridenti!”.
Sono accontentato, soprattutto perché hanno capito che il traguardo è li vicino.
E subito dopo la linea dell’arrivo gli insulti si trasformano in abbracci e sorrisi, e per me …. tantissima emozione, condividere la passione di mia figlia e passare con lei sotto al traguardo dopo 21.097 m di sorrisi prima, insulti poi, e abbracci dopo (per la cronaca la bimba non è molto espansiva in questo senso).
Aggiungerei anche: scampato pericolo.
Chiudiamo in 1:52:56, contro il tempo di 1:52:51 previsto nella tabella di marcia e miglioramento di 2 minuti per Martina e 6 minuti per Domenico.
Cosa è successo poi? Foto di ogni tipo e godersi la soddisfazione di aver condiviso una giornata di sport e di passione: di padre in figlia.
Non è la prima volta e non sarà l’ultima, ma è la bellissima espressione di uno sport che permette di legare genitori e figli, soprattutto quando è difficile trovare uno scontato punto d’incontro come lo è spesso il calcio tra un padre e un figlio.
PS
– (M) Papà?
– (T) si?
– (M) che dici mi segno alla Maratona di Roma?
– (T) ahahahahahahahahahahahahah