Solo in questo momento realizzo quante emozioni mi ha regalato la Maratona di Boston.
Ripenso al colpo di fortuna avuto per poter provare in prima persona emozioni incredibili.
Grazie infinite Loredana per aver pensato a me, un vero privilegio.
Ripenso alla motivazione che mi ha spinto a riprendere a macinare chilometri per allenarmi, con tante gare già programmate, a curare il mio fisico tra alimentazione, terapie, massaggi e potenziamento.
Tre mesi e mezzo di sacrifici e finalmente il sogno diventa realtà.
Nei giorni che precedono la gara, Boston è in gran fermento.
La finish line è lì già pronta, imponente, a due passi dal nostro hotel.
Arriva il gran giorno, i bus gialli in fila indiana fanno la spola.
Il viaggio lo faccio tutto in silenzio: sono teso, pensieroso, preoccupato, cerco conforto nel meteo ma ad Hopkinton, al nostro arrivo, piove.
Io, Andrea, Scut e Daniele, come tanti altri, ci ripariamo dentro un supermercato nei pressi della partenza.
Smette di piovere ed entriamo in griglia. Partiamo!
Davanti a noi un muro di gente, solo al 5° km riusciamo a prendere il nostro ritmo (con Anto avevamo deciso per un tranquillo 5’35″/km).
Continui saliscendi da assecondare accompagnati da ali di folla festanti ed urlanti nonostante pioggia e temperature non proprio primaverili. Incredibile il tifo delle ragazze del Wellesley College quando arriviamo al 20esimo chilometro. Ma noi non ci lasciamo distrarre vero Anto?
Procediamo costanti con il nostro passo fino ad arrivare alla parte più dura del percorso, le Newton Hills, quattro salite che portano alla fatidica Heartbreak hill.
Accorciamo il passo e aumentiamo la frequenza con la gente che non ci lascia soli un istante. Ci incoraggia. Ci dà un sostegno continuo.
Le gambe cominciano ad essere stanche. Rallento un po’ (piccole avvisaglie muscolari da gestire), cerco di avvisare Anto, ma non riesce a sentirmi. Lei va con il suo bel passo, leggero, fluido. Non mi preoccupo più di tanto. Gestisco due/tre chilometri e prendo un ultimo gel.
I problemi sembrano rientrati. Al Boston college la folla aumenta sempre di più, così come un pochino il mio passo. Il tifo è assordante! Ecco il cartello Citgo, manca poco, circa un miglio, sorrido e do il cinque alla gente, mi batto la mano sul cuore in segno di ringraziamento.
Ultimo saliscendi di un sottopasso che ho affrontato in punta di piedi.
Tiro fuori la bandiera italiana che avevo con me.
Penultima curva a destra prima di girare in Boylston Street, a sinistra, per gli ultimi 400 metri in vista del traguardo.
Bandiera al vento sopra la testa e gambe veloci come fossero i primi metri.
È finish line.
Boston è nostra, papà!
Un occhio al crono: 3h58’58” e via a catturare la medaglia, la numero 31!
Pazzesca questa Boston Marathon, quant’ è bella!
Questa non è una maratona, questa è LA MARATONA!
È la gara che ti rimane dentro, ti fa sentire forte (STRONG, come dicono da queste parti), perché tu l’hai domata, l’hai conquistata, l’hai vissuta insieme a tutta quella gente lungo la strada.
Tutta la gente che ancora la sera, quando ti vede in giro con la medaglia al collo, si complimenta con un sonoro: Congratulations!
Simone Puliga