L’allenatrice non perde mai di vista i suoi ragazzi e le sue ragazze.
Dagli spalti, dove lasciano le borse, fin dentro gli spogliatoi per cambiarsi, nel giorno della gara è la loro ombra.
Segue i loro sguardi, li aiuta e li sostiene nei momenti di tensione.
Gli resta accanto anche durante il riscaldamento. Una protezione da tutto, in particolare dalle incertezze di adolescenti smaniosi di arrivare al traguardo.
L’allenatrice è un punto fermo tra i frangenti della vita e attorno al quale girano i pensieri di un’intera squadra.
Lei li sa filtrare e ripulire dalle fatiche di cuori ancora trepidanti.
Sa come parlare a ciascuno di loro.
Una parola detta bene può fare la differenza su una gara che dura pochi istanti, minuti, secondi.
Il nuoto è uno sport silenzioso, metodico ripetitivo nella sua utilità.
L’allenatrice assegna carichi di lavoro settimanali da far venire i brividi ma che solo a 17 anni sopporti come un animale da soma.
Cinque allenamenti a settimana se sono sotto gara, chilometri e chilometri di cloro che ti cambiano il sapore della pelle.
Braccia che spingono via acqua ad una velocità impensabile per noi terrestri.
L’allenatrice è severa e comprensiva nel contempo. Sa quanto può spremere da quelle gambe, conosce ogni postura e ne trae alimento per assegnare l’ennesimo lavoro estenuante in vasca.
Oggi lo sport agonistico è meglio di un tempo. La scuola ha capito che deve convivere con i tempi della vasca per fare un lavoro che porterà l’atleta sul podio della vita.
Un traguardo dove non ci saranno medaglie, non ci saranno trofei, ma solo la certezza di essere maturi e pronti a crescere ancora, ma questa volta da soli.
Solo allora l’allenatrice potrà accomiatarsi da tutti, cosciente che ha fatto il lavoro più bello del mondo.
Marco