La corsa è sparita

La corsa è sparita.

Se n’è andata. Ha lasciato solo un paio di scarpe tecniche usurate, dimenticate nell’armadio, e uno sgomento grande, senza fondo, tipo fossa delle marianne.

Ha legato i suoi capelli neri e ricci in una lunga coda di cavallo, e nella glacialità dei suoi occhi verdi ha detto: “non posso restare”.

L’ho vista dileguarsi all’orizzonte, laggiù, dove finiscono le certezze.

Ho tentato di persuaderla, ho cercato, come la luce nel buio cieco delle profondità marine, pareri medici e tecnici che la convincessero a trattenersi; ho consultato anche l’Oracolo di Delfi, mi sono rivolta a un Santone indiano e poi alla Regina delle Sibille.

Ho urlato, ho pianto, ho battuto i pugni sul tavolo e i piedi per terra, ho fatto i capricci, ho ceduto alla strategia dei ricatti, perdendo dignità, ma lei era già lontana.

Adesso ho paura.

Che cosa sta facendo il mio corpo?

Brutta domanda, pessima.

Rabbia e agitazione si siedono comode dal lato del finestrino per questa parte di viaggio, imbandiscono una tavola e iniziano un chiacchiericcio da salotto, mentre io mi esibisco in numeri comici.

Prenoto ecografie in tre posti diversi, nell’intento di trovare un appuntamento per il giorno dopo, tormento amici e affini, medici e familiari perché io la RM la devo fare ma non voglio, e poi aperta, chiusa, dove perché, quanti Tesla, che saranno i Tesla…

Qualcuno inizia già a chiedersi quando potrò ricominciare a correre, perché così “nun me se regge”.
Intravedo striscioni: “fatela correre, non importa cosa abbia”!

E invece no, importa, come mi fa notare più di qualche persona, qualche saggio meno invasato di me.
Scherzano, ma sono preoccupati, e io sono consapevole, ormai, di essere terrorizzata.

Ma ecco che il gran culo mi assiste (o se volete Dio è grande), e tutto si riduce a un “non è nulla di grave” in pochi giorni: che sollievo!

E ora ? Torno ad essere arrabbiata perché non posso correre oppure… cerco altre risorse…???

Il grande Monaco buddista della tradizione Theravada, Ajhan Chandapalo, mi ha spiegato, tempo fa, che un buon meditante continua a praticare anche se gli hanno tolto il cuscino.

Si siede su una sedia, cammina o rimane in piedi, utilizza quelli che vengono chiamati “abili mezzi” perché il cuscino è solo uno strumento e se viene meno, basta sostituirlo.

Allora, impaziente, ansiosa e affannata, cerco in mezzo a vecchie scatole ikea i rimasugli delle passate attività sportive ed eccoli: i miei costumi da piscina, i miei pantaloncini da spinning e, proprio in fondo alla mansarda, un tappetino per lo yoga. Se insisto posso trovare anche scarponi da sci, ormai da buttare, e un vecchio casco da moto che conservo più per ricordo che per utilità.

Poche ore e, su consiglio di una cara amica, che non si perde mai e dico mai in chiacchiere inutili di commiserazione per una sconfitta (che tale non è), sono in un centro sportivo: io che di solito li aborro come la peste.

Sono frenetica, sono li e vorrei non esserci, sono convinta ma ancora irritata, e nella concitazione, arrivo ai bordi di una piscina deserta dove una brunetta mi saluta e mi chiede:

“Signora sa nuotare? Perché altrimenti c’è anche la piscina con acqua bassa”.

Bypasso il “Signora” con cui mi ha additato e sorrido, felice, perché si so nuotare e, in effetti, non era poi così scontato.

Mi sento fortunata, mi tengo a galla, posso andare in bici, posso cimentarmi in altre attività che solo ora mi rendo conto quanto mi siano mancate.

Prima di immergermi, rivolgo lo sguardo alle piscine di fronte a me: sono nel tempio del nuoto romano, Acquaniene.

Campeggiano nel polo sportivo un po’ ovunque foto giganti dell’infinita Federica Pellegrini e ammirandole, provo un senso di vergogna per aver assolutizzato la corsa, manco fosse l’unico sport degno di essere praticato, che orrore!

Il nuoto non ha nulla da invidiare all’atletica e, ad un tratto, pensando alla fatica degli atleti, mi sento di nuovo fortunata perché io non lo sono: non sono un atleta, non ho tabelle da rispettare, non ho un traguardo da tagliare, anzi si, uno si: prendermi cura di me, con gioia.

“L’hai capito allora…” mi dice la corsa seduta accanto a me, sul trampolino, con i piedi penzolanti.

Alzo il pollice in segno di ok e le schiaccio l’occhio, in una complicità dai confini ampi, in questa vita discontinua e mutevole, dove nulla è permanente, e dove la costanza per il benessere è frutto di un illuminato compromesso.

Lei rimanda gli stessi gesti in uno specchio riflesso che conosco molto bene, e prima di andarsene mi dice, con un ghigno ironico stampato sul viso: hai dimenticato la cuffia…

Ps.: nei giorni successivi ho ricevuto almeno tre chiamate da studi medici dove avevo prenotato ecografie per la gamba e per la spalla, che avevo dimenticato di disdire… peccato che il problema era all’addome!

Buone corse, ma soprattutto buona vita…

Chiara Agata Scardaci