“If you have to ask what jazz is, you’ll never know.” è una frase appartenuta probabilmente al grande Louis Armstrong e ci aiuta a spiegare che ci sono cose che non si possono spiegare, semplicemente, si fanno. Si sentono.
Come il jazz. Come la corsa.
Quando qualcuno ti chiede: “Ma chi te lo fa fare a uscire all’alba per correre?”, ci provi a rispondere. Ma poi ti rendi conto che è un po’ come spiegare cos’è il jazz a chi non lo ha mai ascoltato davvero.
“Come te lo spiego cosa provo ogni volta che allaccio quelle scarpette e in un’alba di città tutto cambia colore?”
“Come faccio a raccontarti quella linea immaginaria che inseguo fino a non sentire più la fatica, fino a svuotarmi la testa, fino a riempirmi i polmoni e la vita?”
Prova a immaginare che è come quando ogni cosa gira per il verso giusto, quando sei nel flusso. Non è una corsa: è uno stato mentale, è armonia cinetica. È jazz. Il tuo respiro diventa ritmo. Le gambe fanno l’assolo. Il cuore tiene il tempo. E il mondo intorno diventa sfondo, vibrazione, sincope.
Chi corre, lo sa: non corri per scappare, corri per restare.
Restare presente. Restare te stesso.
Mentre gli altri si preoccupano per cose su cui non possono fare nulla, tu usi quelle stesse energie per cambiare il tuo passo. E in quel momento, sei libero.
“Non è facile spiegare come fa a bruciare il mio motore…”
Non lo trovi alla nascita. Lo scopri a fatica, chilometro dopo chilometro. E una volta acceso, non vuoi più spegnerlo.
Il pettorale sulla maglia sudata, le gambe che bruciano, la testa leggera dopo il traguardo. Sono poche cose, ma una volta che le hai sentite, sembrano tantissime.
E se qualcuno continua a chiederti perché lo fai, sorridi.
Perché ogni volta che torni a casa dopo una corsa lo si legge sul viso: non c’è più niente da spiegare.