La corsa la incontri quando hai bisogno di far pace con te stesso ed è subito amore. Ti carica di energia positiva e di un’euforia pari solo all’innamoramento.
Sei felice.
Nulla di brutto può accaderti quando le gambe girano, i piedi impattano sicuri e ritmici al terreno, la brezza tiepida di primavera ti accarezza il viso e le braccia.
Ascolti il tuo respiro affannoso mentre ti perdi in un volo libero. Quando nessuno può vederti allarghi le braccia a fendere il vento, come se volessi abbracciarla per tutta la felicità che ti sta regalando senza chiedere nulla in cambio.
È la corsa ed è una splendida storia d’amore.
Spazzoli ed intrecci i capelli, compri vestiti sempre più tecnici e dai colori sgargianti per essere bella. No. Non per gli altri. Per te stessa, per goderti il tuo tempo con lei che è bella sotto il sole e sotto la pioggia, per stare con lei che ti rende felice.
Siamo dei fortunati noi che abbiamo conosciuto la corsa solo in tarda età. È l’amore maturo, quello consapevole, quello che è sceso dalle nuvole e abita la tua vita di tutti i giorni.
È lei che ci ha salvati dalla depressione, dalle terapie mediche infinite e senza esito, compagna di convalescenze e artefice di rinascite spirituali, lei che ci ha riportato il sorriso sul viso.
Poi una mattina ti svegli e non è più così.
Sei stanco e non hai voglia. Non hai più voglia di vestirti di mille colori, di uscire alle 5 del mattino mentre tutta la città è ancora addormentata e anche tu vorresti goderti un po’ di sana pigrizia.
Tutta quella gioia è stata inghiottita da un insaziabile senso del dovere, la felicità che ti invadeva come uno tsunami è diventata una piccola onda che si scompone in una striscia di schiuma sulla sabbia.
Come tutte le storie d’amore anche l’amore per la corsa può finire.
L’ho visto succedere tante volte. Gli obiettivi cambiano, la quotidianità prende il sopravvento e ci veste di stanchezza. Inventiamo mille scuse, il lavoro, i figli, le responsabilità.
Torno ad essere come prima, appiattita nella mia normalità. Sono le sei di mattina e non riesco a dormire. Non ho fame. Sono intorpidita e le mie articolazioni cigolano come un vecchio cancello arrugginito. In un angolo le mie scarpe consumate mi fissano come un cane che chiede un biscotto.
Perché no.
Infilo i leggings e la mia maglietta preferita, quella più comoda, quella che mi sono guadagnata con la mia gara più dura insieme ad uno sfavillante Personal Best. Allaccio le scarpe e provo una sensazione familiare. Mi sento a casa. Chiudo gli occhi, li riapro e sono in strada.
Cammino un po’. Non fa freddo. Nelle cuffie un pezzo ritmato mi invita ad avanzare il passo. Un piede davanti all’altro sento i muscoli cantare e comincio a correre a tempo. Il fiato non mi segue. Affanno. Affanno tanto. Rallento e trovo il mio passo.
Bentornata amica mia!
Abbiamo tante cose da raccontarci e un mondo da esplorare aspetta solo noi. In questi mesi di solitudine ho fatto tante cose, ma mi restava difficile soffermarmi a guardare il mondo.
Incrocio un uomo che corre, istintivamente alzo la testa e allungo il passo in un impeto di dignità, mi sorride, lo saluto. Dopo di lui passa una ragazza, sudata, seria, concentratissima, cala lo sguardo e io rispetto il suo desiderio di solitudine.
Ancora un uomo vestito di nero con un enorme paio di cuffie gialle sembra un’ape gigante. È felice. Lo sono tutti. Sono tutti immersi nella loro meravigliosa storia d’amore con la corsa, mentre io rifletto e capisco che non ci eravamo davvero lasciate.
La nostra era solo una pausa di riflessione.
Ludmilla