Il runner quando nuota

tornare a nuotare

Il runner, quando nuota, odia il nuoto con tutto sé stesso, anche se riuscirà a coprire 25 metri a stile libero con appena 13 bracciate.

Perché, se sei “terrestre” e non “acquatico”, nuotare diventa prima di tutto una sfida mentale, e solo poi fisica. E si sa, la mente gioca contro quando la fatica si fa sentire.

Non importa l’età: il runner sosterrà sempre che correre sia più impegnativo, ma lo fa solo per mascherare le sue mal celate sconfitte agonistiche sulla strada.

Per ridurre al minimo l’affanno in acqua, usa qualsiasi strumento possibile: il pull buoy, il boccaglio per respirare, le palette, la tavoletta… Ma il risultato, spesso incerto, è evidente agli occhi di tutti.

Quando riceve la tabella di allenamento dal coach, il runner ha la stessa espressione di chi osserva un cruciverba crittografato. Anche ammesso che riesca a interpretarla correttamente, una volta in vasca le velocità impostate — Over, Easy, Moderate — diventano pura teoria. Osservandolo da vicino, non si nota alcuna differenza: lui ha il suo passo, e quello resta.

L’unico punto fermo di ogni nuotatore, il mitico orologio contasecondi, per il runner è poco più che un oggetto decorativo.

Per chi nuota davvero, quell’orologio è una divinità: guida i progressi serie dopo serie, in un dialogo costante con l’allenatore. Per il runner, invece, è solo fonte di confusione. Quando arriva al blocco in preda alla carenza di ossigeno, dimentica perfino il colore della lancetta di riferimento e riparte “a cazzo”.

E così, incurante di ogni regola, finisce per logorare la pazienza dell’ennesimo allenatore, che alla fine smetterà di seguirlo e di rispondere ai suoi messaggi in chat.

Se un giorno avrete la sfortuna di incontrare un runner in piscina, non dategli retta: ignoratelo, proseguite per la vostra corsia e sarete salvi.