Non è stata la prima edizione di Miguel a cui ho partecipato quella del 2017, così come spero non sia stata l’ultima, anche se negli ultimi due anni dei normali infortuni dovuti all’usura dei tanti anni di corsa me ne abbiano precluso la partecipazione:
La corro sin dalle prime edizioni con velleità agonistiche da buon amatore (che ora chiamiamo master) e anche con risultati dignitosi, tra cui ricordo, nel 2012, un terzo posto nella speciale classifica dedicata ai professori di educazione fisica dietro al mio collega ed amico Sergio Cocozza.
Ad inizio 2017 probabilmente non stavo nemmeno pensando a Miguel quando i medici del S. Filippo Neri annunciarono a me e a mia madre che mio padre aveva un cancro al pancreas ormai avanzato e che gli rimanevano forse sei settimane da vivere.
Smetto di correre, di allenarmi, mi metto in aspettativa da scuola e resto a casa incapace di fare altro se non dormire, guardare mio padre lentamente spegnersi per quel male che lo sta lentamente divorando, e cercare di trattenere le lacrime per aiutare mia madre dandogli un po’ di forza e di umanità.
Mio padre si spegne il 19 gennaio e il 20 lo portiamo a Prima Porta per la cremazione: tra gli amici suoi e miei presenti quel giorno c’è Enrico Caroli, corridore e triatleta con cui ho diviso tante gare, tanti km in macchina, diverso da me perché vegano, capellone e di origini umili, ma sempre presente nei momenti difficili della mia vita
Per darmi una scossa mi dice che domenica 29, quindi solo 5 giorni dopo la telefonata avrebbe corso Miguel (noi la chiamiamo così, semplicemente “Miguel”) e mi propone di correrla con lui; gli rispondo che non corro da un mese e che fino a tre giorni prima facevo fatica mentalmente ad uscire dal letto la mattina, ma che ci proverò.
Corro tre volte in quei cinque giorni, mi iscrivo all’ultimo momento grazie all’amicizia che mi lega ai membri dello staff organizzativo.
La domenica mattina sono allo Stadio dei Marmi: fa freddo, c’è gente ovunque, gazebi, musica, annunci e mi son dimenticato dei tempi tecnici per cambiarmi, andare alla toilette, scaldarmi ed andare nella griglia di partenza così ovviamente rischio di non incontrare Enrico, e del resto sono venuto per correre con lui, non certo per correre da solo.
Esco dalle griglie e mi vado a piazzare alla prima curva a 200 mt dalla partenza e spero di vedere Enrico nella bolgia; ho un riflesso, schiaccio il cronometro quando sento lo sparo, passano i primi, guardo il cronometro, trentotto secondi, guardo i corridori, vedo tanti amici di cento battaglie, riguardo il cronometro, un minuto e quindici secondi, ma Enrico dov’è?
Parto, rimonto pian piano il gruppo, primo km 4’06”, Enrico non c’è, doveva correre a 4’10”…continuo, secondo km 3’59” e ancora niente, poi al 2,5 kM lo vedo, lo raggiungo, gli do una pacca sulla schiena, “ehi, sono qui!”.
Mi tranquillizzo, corriamo 5km insieme a 4’15”/4’10” e a quel punto realizzo che mi sento di nuovo nel mio mondo, quello della corsa, vedere amici che di solito batto nettamente da un lato mi fa realizzare che sto andando piano, dall’altro che quelli sono i miei amici, e che se vengo a questa corsa un motivo c’è, ed è che mi piace correre, correre in mezzo a tanti amici che, come me, inseguono un tempo, un’emozione, un traguardo, e si sentono semplicemente parte di un evento, si sentono vivi!
Ecco ora mi sento di nuovo vivo, Enrico mi guarda, sbuffa, pensava di andare facile a 4’10” ma sta faticando e mi dice di non preoccuparmi se voglio aumentare, di andare ed aspettarlo all’arrivo.
E io aumento, faccio tre chilometri tra 3’40” e 3’50” passando forse 120 persone in quegli ultimi chilometri, entro nello Stadio Olimpico ed arrivo sulla linea del traguardo, dove a mettermi la medaglia al collo c’è Gianluca Calfapietra che mi abbraccia, solo trentasei ore prima mi aveva visto ancora scosso alla premiazione sociale della sua squadra di triathlon.
Non so che tempo ho fatto, non so quanto sono arrivato, so che volevo esserci e ci sono, aspetto Enrico per tornare al gazebo con lui: il suo sorriso è due volte più grande del mio, in cuor so voleva vedermi sorridere dopo la morte di mio padre ed era più contento di me.
Salgo in macchina e capisco che la gara mi ha dato energia, sono vivo!
Stefano Spina