Sono le sei del mattino a Marina della Lobra, una piccola frazione di Massalubrense.
Il sole si nasconde dietro un costone di roccia su cui sono abbarbicate tutte le case e si farà vedere solo dopo mezzogiorno per la gioia dei pescatori, la mia e quella dei turisti a cui non importa che ci sia sole la mattina presto.Tutti dormono.
Un anziano riempie un secchio a mare e lava la sua barca. Un guscio di noce di legno tenuto insieme da vernice e sale.
Il sale è ovunque. Nell’aria che respiro, sulle barche, nei miei vestiti asciugati al sole.
Qualche pescatore sul molo ripara le reti. Il mare è agitato e non è giornata per uscire. Per loro, ma non per me.
Io sono già in piedi e sogno questo momento tutto l’anno.
Arrivo la sera prima per non perdere nemmeno un’alba a mare. Mi vesto più o meno silenziosamente, metto i miei leggings, la canotta, allaccio le scarpe e sono pronta. Apro la porta e il mare invade i mie polmoni. Senza chiedere permesso si insinua e mi avvolge. Succede così quando è agitato.
Stamattina mi aspetta un bel bagno.
Corro “dietro la chiaia”.
Un tempo era una scogliera naturale molto simile ai bagni della Regina Giovanna. Digradava dolcemente verso il mare. Più o meno durante il primo decennio del 1900 è stata trasformata in una cava di pietra e infine è diventata una passeggiata lungo la scogliera.
Il mio mare è selvaggio, impetuoso, non si culla accarezzando la sabbia, lui sbatte violento lungo la scogliera, emette un suono cupo, si insacca e poi ritorna alternando le onde al mio passaggio, quasi a volermi seguire.
Dietro la chiaia il cellulare muore. Non c’è musica, anche perché ci fosse una volta che mi ricordo di salvarla! Forse a livello inconscio non la voglio ascoltare, forse dentro di me ho bisogno di quell’orchestra che suona, fatta di respiro, passi, onde e vento.
Da quando ho cominciato a correre è un appuntamento fisso. Chi mi conosce me lo domanda appena mi vede, dopo i saluti
“Domani vai a correre? Sei venuta apposta stasera!”
Mi conoscono bene. Lo sanno.
Così eccomi di nuovo qui. Davanti a questo spettacolo che farebbe vacillare ogni ateo. Davanti a Dio. Io e lui. Soli.
Scendo le scale che arrivano al nastro che percorro instancabilmente, avanti e indietro, finché mi va. Inizialmente facevo quei 5Km al giorno che mi servivano ad avviare la giornata, oggi siamo più o meno a 10, ma la regola è finché mi va. Finché ho il sorriso stampato sulla faccia.
Eccoci qui. Un altro anno passato. Davanti a me lo scoglio di Vervece che custodisce i voti dei pescatori tornati a casa, dietro di lui Ischia, alla mia sinistra Capri e a destra il golfo di Napoli.
Comincio a correre.
La brezza mi avvolge, il respiro scandisce il tempo, i piedi battono sul cemento bruzzoloso e mangiato dal mare. Ogni tanto un’onda mi bagna. E’ il mio gioco con il mare. Lui prova a prendermi e io dovrei scansarmi. A volte mi sbaglio, a volte faccio finta di sbagliarmi.
Cerco di evitare le pozze d’acqua per non rovinare le scarpe, anche se non porto mai scarpe nuove, voglio stare tranquilla. Tranquilla è il mio mantra, tutto il mondo è fuori dalla porta insieme alla vita di tutti i giorni, le preoccupazioni sono volate via dal finestrino della macchina da qualche parte tra Roma e Napoli e torneranno solo alla fine della mia vacanza. Forse. O forse no.
Arrivo al molo dei bambini. C’è una vecchia darsena abbandonata. La natura se la sta riprendendo, ogni anno mangia qualche ferro, un pezzo di cemento, leviga qualche pietra.
Il cemento del molo è pieno di buche. Le pietre non sono più appuntite, il mare le ha levigate e spogliate del loro rivestimento, forse il prossimo anno le riprenderà con se.
Un ragazzo dispone le sdraio per i bagnanti. Ha tutto il tempo e tutta la calma di questo mondo. Vive in un posto dove il tempo si è fermato per riprendere a scorrere in un perenne slow motion.
Continuo il mio percorso. Ormai sono ricoperta di sale, lo sento sul viso, sulle braccia, sulle gambe. Quello del mio sudore si mescola a quello del mare e diventiamo un tutt’uno.
Arrivo in fondo al nastro di cemento. Come Forrest Gump, mi giro e riprendo a correre.
Non mi annoia fare il criceto. Sono 800m che non saziano mai lo sguardo e l’anima. Vedo il piccolo borgo avvicinarsi, il mare continua a sbattere sugli scogli e a cercare di prendermi. In fondo mi giro e torno indietro. Ancora e ancora.
Mi accorgo che il tempo passa perché la strada comincia a popolarsi.
Arriva una coppia di signori tedeschi che fa il bagno tutto l’anno, anche a Natale. Camminano in su e in giù, fanno Yoga e si tuffano. Hanno sempre un sorriso per tutti.
Un signore preoccupato del suo colesterolo passeggia e abbozza una corsetta. Ci salutiamo tutte le volte. Sono passate le sette. Torno indietro un’ultima volta.
Arrivo alla scala e mi fermo a fare stretching. A noi due amico mio, ben trovato! Ho di nuovo di fronte il mare e nella mente tutti i miei pensieri positivi.
Invece sono qui. A casa. A sognare quel momento che mi è sempre sembrato qualcosa di ovvio e naturale. Qualcosa che ho sempre dato per scontato.
Questa permanenza forzata a casa ci ha ampiamente dimostrato che non esiste l’ovvio e che ogni istante è prezioso e va vissuto fino in fondo.
Sono qui a cercare di ricordare odori, sensazioni e pensieri positivi che mi aiutino a sopportare l’attesa con la consapevolezza che tu sei li e mi aspetti.
Il mio mare. Come ogni anno.
Ludmilla Sanfelice