La voglia di far parte del magico mondo della corsa, anche camminando, ha sempre più spazio in fondo alla classifica delle maratone e ovviamente nella prossemica digitale in rete.
Il comportamento di chi, pur di arrivare all’ennesima medaglia appesa al collo, porta il corpo a sostenere e sopportare ore e ore di gara crea reazioni divisive nel mondo del running.
In questa visione estrema delle prestazoni in termini cronomentrici, c’è chi approva e chi condanna, di fatto è un tema che genera interesse.
Ormai è chiaro che anche molti organizzatori, pur di avere più finisher da dichiarare nel dopo gara, aprono le manifestazioni a tempi che una volta non si sarebbero mai visti a fondo classifica.
Dalle maratone, passando per le competizioni che vanno oltre le colonne d’Ercole della distanza regina, il limite è molto sottile.
C’è il maratoneta o ultra maratoneta diciamo “improvvisato” che, già prima della metà del percorso, va in crisi e arranca passo dopo passo fino a un traguardo con tempi ai limiti del regolamento.
Poi c’è chi, con più esperienza sulle gambe, parte ben allenato, va in crisi nella seconda metà del percorso e finisce la gara camminando.
Il tutto va a rimpinguare tempi e posizioni del fondo classifica…
Da queste due visioni dello stesso evento sappiamo bene che un conto è andare in crisi per un uso errato delle proprie energie, un conto è camminare tutto il tempo solo per poter mettere in bacheca ancora un altro pendaglio.
Forse sul fondo classifica si evidenziano in misura maggiore le differenze sulla preparazione, sulla percezione dei propri limiti, sulla tenuta mentale, sul combattere lo spettro del “fuori tempo massimo”.
Ma anche il miraggio di ricevere la scossa di adrenalina del “ce l’ho fatta” è una visione diversa delle tante vituperate “retrovie”.