“Basta, non ce la faccio più. Io la faccio qui.”

Ci siamo passati tutti almeno una volta nella nostra carriera di podisti: quel chilometro fatidico in cui prendi una delle decisioni più difficili.

“Basta, non ce la faccio più. Io la faccio qui.”

Non c’è campione né tapascione che, cronometro alla mano, sia uscito vincitore da questa situazione. Ma, dal punto di vista puramente fisiologico, è stato sicuramente un trionfo senza vergogna.

Decidere di fermarsi per un bisogno impellente durante una gara non è mai semplice, nemmeno se sei l’ultimo atleta di un trail nel cuore del Gennargentu, sotto la pioggia di novembre.

Dove? Come? Ma perché proprio a me?

E soprattutto: Come cazzo faccio? Non ho nulla per pulirmi!

Un dramma.

Poi pensi agli amici, tutti fenomeni che riescono a “liberarsi” prima della partenza. Veri campioni se arrivano a fine gara senza inconvenienti. Ma è al 27° chilometro della maratona, preparata con 18 settimane di sacrifici, che la paura ti paralizza.

Non ti resta che riflettere su cosa hai mangiato nelle ultime 24/36 ore. Ma fai di peggio: ripassi l’intera tua esistenza, cercando di evitare di accettare ciò che sta per succedere nei tuoi pantaloncini oversize, ultimi baluardi di un imminente “sgombero” fisiologico quanto mai imbarazzante.

Perdi ogni esitazione, abbandoni il percorso, la dignità e l’amor proprio, e cerchi un angolo nascosto dove credi di non essere visto da nessuno. Porti a termine il tuo piano di libertà, sperando di ritrovare serenità e leggerezza.

Solo dopo, con il “tragico epilogo” alle spalle, ti accorgi che le telecamere della diretta nazionale erano a pochi passi da te. Oltre al flusso ininterrotto di runner, hanno immortalato anche il tuo momento di gloria – una scena che nemmeno vincendo il premio alla sagra della salamella avresti vissuto con così tanto clamore.

Evviva la libertà, evviva la corsa… anche senza vergogna!