Dove siete finiti? (Appunti di economia podistica)

I recenti campionati europei di atletica leggera a Roma, inducono ad alcune riflessioni sul nostro mondo.

Alle gare non ci sono più i partecipanti di una volta. Mi riferisco al numero. I dati sono infatti piuttosto preoccupanti. Avevo da qualche parte un “ritaglio” nel quale si parlava di un 25% in meno di tesseramenti rinnovati e di un calo di circa il 30% della partecipazione alle gare. Può darsi che le cifre siano un pochino più rassicuranti, ma non più di tanto. In contemporanea, secondo la logica della Tempesta perfetta, gli sponsor latitano ed aumentano i costi per gli organizzatori.

Forse gli anni d’oro del podismo sono destinati a diventare un ricordo che si tramanderanno gli “anziani” di fronte all’energy drink del ristoro. Le abitudini, dopo la batosta pandemica, sono cambiate repentinamente e bisogna provare a capire come invertire – se è ancora possibile – la tendenza.

La prima strategia da porre al bando è quella del c.d. “recupero costi”, attuata spalmando su un numero minore di podisti il ricavo atteso. Poniamo il caso che parliamo di un numero di 100 podisti per un simbolico 1 euro pro-capite. Data la flessione del 25%, un cretino di medio cabotaggio caricherebbe su 75 podisti l’importo di 1/25esimo, con la manifesta volontà di introitare la stessa cifra di prima. Peccato che questa politica di cortissimo respiro finirebbe per aumentare le defezioni di podisti desiderosi di correre ma non da farsi trattare da perfetti imbecilli. Si giungerebbe, inevitabilmente, fino al punto in cui sarebbe del tutto antieconomico organizzare gare podistiche.

Cosa fare, allora?

Anzitutto, per gare entrate nel tradizionale calendario podistico, le amministrazioni pubbliche (leggasi: il Comune) dovrebbero rendere disponibile il proprio supporto, per esempio, “concedendo” il servizio sanitario, o quello di “vigilanza” o, ancora, i bagni chimici, quale “contributo” alle attività sportive che, peraltro, rientrano a pieno titolo nella mission dell’amministrazione (insieme a tante altre cose).

Apro un veloce inciso. Con la modifica dell’art. 33 della Costituzione, avvenuta nel mese di settembre del 2023, è stato aggiunto un comma che recita: “La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme”. Sicché anche la promozione del podismo è ora (ma lo era anche prima) parte esecutiva – ex parte pubblica – di un vero e proprio diritto della persona. Il podismo ha la stessa dignità di altri sport e non deve essere rappresentata alla stregua un’attività vista come un mero intralcio al traffico (ad opera di loschi individui seminudi, per giunta).

Torniamo al tema. Nel finanziare gli organizzatori già “operativi” qualcuno potrebbe sostenere che con questa condotta si sfavorisce il newcomer a vantaggio di chi è già sul mercato. Ed è proprio così. Si configura quale barriera all’entrata che serve a misurare le velleità, per cui quando l’Organizzazione X immagina di organizzare una nuova gara, in tempi di vacche magrissime, deve arrivare più che preparata, con le idee chiare ed avendo già trovato le giuste risorse. Tranne l’occupazione temporanea di suolo pubblico, l’esperimento e la scommessa sono a suo carico (con il “ragionevole” contributo dei partecipanti).

Se l’iniziativa, assunta senza aiuti pubblici, “funziona”, poi entra a pieno titolo nel circuito di quelle già esistenti e, anche a vantaggio di quest’ultima, ci sarebbe una fetta di torta, ovviamente commisurata all’aumentato numero di pretendenti. Giacché la torta è, più o meno, definita, e si tratta, allora, di misurare proporzionalmente il numero e la consistenza delle singole fette.

Poi servirebbe che la Fidal si mettesse una mano sulla coscienza e non nelle tasche altrui. La Run Card deve tornare ad essere una “tessera” del tutto temporanea. Il podista deve iscriversi ad una squadra podistica e non correre sotto “mentite spoglie”. Ma se uno non vuole iscriversi gli è inibita la corsa? No, di certo, se con le altre “sigle” (Uips, etc.), tolte le maratone, si messo nelle condizioni di partecipare ad un certo numero di gare. Invece, oggi, sono praticamente tutte gare “Fidal” impedendo questo potenziale circuito virtuoso.

Il sottoscritto, ad esempio, al tesseramento “Fidal” con la propria squadra, aveva aggiunto il tesseramento Uisp con un’altra squadra “per simpatia” (e con questa ho disputato molte gare) e, mi apprestavo ad un terzo tesseramento. Questa idea – lo riconosco – bislacca, si è scontrata con il fatto che ora, con il tesseramento Uips, potrei partecipare, al massimo, alle gare di freccette in un pub irlandese.

Infine, un piccolo sforzo devono farlo anche gli organizzatori, tornando alla media “standard” di 1 euro/km per le 10K e di circa 0,80 euro/km per le Mezze. Le maratone le lasciamo da parte perché hanno altre economie, seppur anche per queste manifestazioni un qualche riassestamento appaia ragionevole.

Senza una revisione dell’Economia del podismo, si finirà per avere tesserati che disputano solo le maratone (che hanno, come accennato, ben altre dinamiche), con il crollo verticale della partecipazione alle gare cittadine su breve distanza. Cosa succederà? Che, alla fine, quando il solo tesseramento non sarà sufficiente all’equilibrio finanziario delle associazioni podistiche, si consolideranno solo quelle in grado di fare “grandi numeri” con la fine della stessa idea di sport “non professionista”. E’ questo quello che vogliamo?

Per invertire la tendenza ci vuole tempo, ma prima si parte e – se va bene – prima si taglia il traguardo. E’ una gara anche questa ed il premio è rilevante se è in gioco un diritto delle persone.

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Mr Farronato
Mr. Farronato Podista e scrittore. La corsa mi serve per superare i limiti dell’ordinario mentre, scrivendo, supero quelli dello straordinario. Potete trovarmi – sotto falso nome – nelle gare della nostra bella capitale e, soprattutto, alle maratone. La corsa è la soglia del crepuscolo che si affaccia su un mondo diverso.