Gooooooodmorning Vietnaaaaaam!!
No. Non sono impazzita. È il suono della mia sveglia.
Quello che mi da la carica quando devo alzarmi presto per allenarmi o per partecipare ad una gara. Quello che ho sentito domenica mattina alle 6 in punto.
Tra le imprecazioni di mio marito intervallate da una serie di “Non c’è pace in questa casa!!”.
Mi alzo. Si riaddormenta.
Non mi va.
Un classico. Un evergreen delle domeniche di gara. Non lo sentivo frullare nella testa da moltissimo tempo.
Non mi va.
Devo attraversare tutta Roma e io quando devo girare la città eterna divento stupida. Provo e riprovo ad unire i puntini dei luoghi che conosco ma non mi portano mai nel posto che mi serve. Allora apro maps. Niente. Aumenta la mia confusione.
Mi lavo in fretta, ho perso anche troppo tempo, faccio colazione tanto sono in quarta frazione, l’ultima, chi sa quando correrò. Apro la porta di casa piano, ma è tutto inutile, risuona come un paio di martellate nel silenzio dell’alba di una domenica di metà settembre.
Via Maresciallo Pilsud…Pildursk…Pildurisky…Excalibur imbecille!!
Ecco. Ancora una volta come Fantozzi davanti alla spada magica. Piazza Euclide. Decisamente più facile. Metro B, metro A, Trenino per Viterbo.
E se sbaglio? Andiamo per gradi. Metro B. Qui sono di casa, scendo a Termini e cambio. La metro è vuota. Certo, perché chi andava alla Maratona di Roma era già sceso almeno un’ora prima, a quest’ora saranno tutti in griglia.
A quest’ora staranno partendo.
Sembro una bambina al primo giorno di scuola.
Divisa sociale, marsupio con generi di prima necessità e soccorso, le mie Bondi total black logore dopo 900km di attività e i miei calzini rosa fluo perché unicorna non si smentisce mai. Mi sento un po’ scema a dire il vero.
Un ragazzo difronte a me si volta a guardarmi come per dire “anvedi sta matta!”. Pazienza.
Prendo due scale mobili verso il centro della Terra per arrivare alla linea A, devo scendere a Flaminio e li c’è il trenino.
Sulla banchina vedo una signora che chiede indicazioni all’omino ATAC. Ha il pettorale con la lettera D. Corre la mia stessa frazione.
“Eh Signò! Ma noi che ci stiamo a fare! Poi oggi è domenica…Sapesse quanto ve volemo bene a voi maratoneti!”.
Bene con quattro “B”, alla maniera di Roma.
In un anno di pandemia, alti e bassi, lockdown, anche questo mi era mancato.
Dico alla signora di non preoccuparsi, che se vuole può venire con me e che anche io mi sto barcamenando per capirci qualcosa per arrivare a piazza Euclide.
Ci avviamo insieme, prendiamo il trenino vintage a Flaminio, scendiamo a Piazza Euclide e seguiamo un gruppo di ragazzi con il pettorale attaccato. Arriviamo al punto di scambio e vedo il primo volto amico.
Sembravo la Loren alla notte degli Oscar. “Roberto!”
L’uomo che ha raccontato la mia storia, la sua storia, la storia di moltissimi runner nel suo libro “Corri. Dall’inferno a Central Park” stamattina corre la mia stessa frazione.
È un segno. Decisamente. Mi tranquillizzo subito. Ritrovo una quantità di amici. Tutto prende il colore di una bella festa.
Il cielo di Roma, il verde di Villa Glori, il volto concentrato di Sara che corre la sua seconda Maratona, determinata, inarrestabile, emozionata.
Non sono riuscita a trattenere l’entusiasmo. Io, Ludmilla, quella che non riesce a parlare in pubblico, quella che alla messa di Natale alle scuole medie rimane muta con il microfono in mano in una chiesa colma di gente, ho urlato dl profondo del cuore il suo nome e una serie di incoraggiamenti che onestamente non riesco a ricordare…e tanti saluti alla timidezza! Mi commuovo.
Vedo tantissimi amici. Mi chiamano urlo, li saluto, li incoraggio.
Dopo un anno a casa in cui ho corso per il quartiere sognando di gareggiare, ecco che arriva il mio testimone. Lei entra, io esco. Comincio a correre.
Dopo tre ore in piedi mi sento le gambe gonfie di povera nonna, ma bastano due passi per riattivare la circolazione e la mente va indietro nel tempo a quella maratona non maratona corsa nel 2019.
Preparata al limite della follia, senza consapevolezza dei miei limiti, senza conoscere il mio corpo, come una crociata dei pezzenti in cui io sono Pietro l’Eremita.
Mi ricordo dove sono. Dietro l’auditorium. In un posto un po’ desolato. Entro in un fiume di gente che cammina esausta.
Sono partita alle 11.00 e ho preso la coda del serpentone. Mi sento quasi in colpa a correre mentre tutti camminano con il volto tirato e stanco. Qualcuno cerca di muovere qualche passo di corsa, ma travolto dalla stanchezza si ferma e continua a camminare.
Penso a me due anni fa. Ricordo perfettamente la sensazione di vuoto interiore e la tenacia che non mi permetteva di mollare.
Correvo e camminavo, a tratti piangevo. Oggi corro tranquilla.
Prendo l’acqua ad ogni ristoro e me la verso sulla testa. Il caldo è avvolgente e mi accorcia il respiro. È quasi mezzogiorno. Posso solo immaginare come si sentono i maratoneti intorno a me. Continuo a correre e attraverso il sottopasso del lungotevere.
Un altro luogo dei ricordi, il luogo in cui stavo per cedere, quello in cui il 38 km non arrivava mai. Quello dopo il quale ho trovato i miei amici che urlavano e mi incoraggiavano.
Passo per il centro. La parte del centro è la più bella.
Volti un angolo e ti si apre uno scorcio di meraviglia. Il primo è piazza di Spagna. Costeggio la barcaccia e improvvisamente l’aria sembra meno rovente, il sole bacia la scalinata di Trinità dei Monti e la fa risplendere.
Mi sento fiera ed orgogliosa di essere stata adottata da questa meravigliosa città. Altra strada stretta, altra curva e davanti a me l’immensità di Piazza Navona.
Mentre corro mi viene in mente un’intervista a Franca Fiacconi in cui racconta che la sua prima corsa è stata il giro di piazza Navona e dopo quella corsa non ha più smesso. Non posso fermarmi adesso. Sono stanca, ma è quasi finita.
Davanti a me la biforcazione che divide maratoneti da staffettisti. Sono a Piazza Venezia. Tutto è immenso, spazioso ed io mi sento piccolissima mentre imbocco via dei fori imperiali e comincia l’allungo. Sembra non finire mai.
Forse l’ho iniziato troppo presto, invece improvvisamente davanti a me c’è gente che cammina con la medaglia. Impossibile. Dico a voce alta “è finita?Sono arrivata?”. Mi avranno presa per matta.
Una signora apre una bustina trasparente e mi porge una medaglia.
Bentornata Maratona di Roma! Bentornato mondo del running dalle braccia larghe abbastanza per accogliere tutti quelli che hanno sentito la tua mancanza.