Emiliano Bos è un grande amico di Storiecorrenti, ed è il corrispondente per la RSI-RadioTv Svizzera negli Stati Uniti.
In questi primi giorni dell’anno si trova a Washington e sta seguendo l’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca il 20 gennaio.
Quella che segue è la cronaca di corsa in una Washington sotto assedio, tra palazzi federali, Memoriali e paure per un cambiamento che dovrà necessariamente ridare fiducia all’America e non solo.
Inizia da K Street la corsa di Emiliano, il cosiddetto centro dell’industria della lobby. Corre con il tesserino da giornalista appeso al collo in un clima spettrale, come se fosse nelle vie di Bagadad, in una città attonita per i fatti accaduti il 6 gennaio scorso.
Emiliano lo ha fatto di corsa perché in città non ci sono mezzi pubblici e con l’auto non si può circolare.
Ecco la cronaca di come l’America si appresta a voltare pagina.
All’angolo tra la 14esima e H street c’è persino una guardia di frontiera – border patrol – che di solito presta servizio al confine col Messico.
Il centro città è militarizzato.
Ci sono più riservisti della Guardia Nazionale qui che soldati americani in Afghanistan e Iraq messi insieme.
Dietro il Ford’s Theatre dove venne assassinato Lincoln si è già all’interno della “zona verde”, downtown DC come Baghdad.
Decine di agenti sotto la scritta per ora ancora dorata dell’hotel col nome del presidente-che-tra-tre-giorni-non-lo-sarà-mai-più, accusato tra le mille altre cose di aver sfruttato e monetizzato a fini privati la carica pubblica per cui è stato messo due volte in Stato d’accusa.
I ranger hanno sigillato il Mall, la striscia verde di 3 chilometri che unisce il Congresso al Memoriale di Lincoln. Oggi qui in America é Martin Luther King day.
Migliaia di persone in queste ore sarebbero tornate su quegli scalini anche per vedere la targa – piccola, quasi non la si nota -che indica il luogo esatto del celebre discorso “I have a dream”.
Ora pero l’America ha un incubo.
Ha paura di se stessa. Terrorismo domestico lo definiscono qui. Non terroristi in arrivo da fuori. Ma dal Missouri o dalla confinante Virginia. Poche ore fa ho visto una città impaurita, irriconoscibile, disorientata, surreale.
Mentre correvo verso il Capitol, ho incrociato famiglie in visita, in una domenica senza comunque alcuna parvenza di normalità.
Speravano di intravvedete almeno qualche preparativo della cerimonia. Sono state costrette invece a fare lo slalom tra barriere metalliche e metal detector presidiati dai agenti dei servizi segreti.
L’inaugurazione del nuovo presidente qui dovrebbe essere, e spesso lo è stata in passato, una festa popolare. Dovrebbe attirare su Constitution Avenue una folla colorata compreso chi non ha votato per il presidente eletto.
E invece non ci sarà nessuna celebrazione. La gestione ottusa del Covid e l’ignoranza di chi si ostina testardamente a pensare che la mascherina sia solo di una parte politica hanno creato una crisi devastante.
Quasi 400mila morti.
Più i 5 dell’assalto al Congresso. Paura e pandemia. Con l’abisso della violenza di un attacco medioevale contro il potere.
Il 6 gennaio la fortezza era colpevolmente sguarnita. Abbandonata. Ho visto energumeni suprematisti in piedi su un’auto della polizia davanti al Campidoglio.
Lo Stato di diritto capitolato sotto i colpi e sotto i piedi di fanatici vestiti da miliziani, veterani armati pronti al golpe, estremisti con le corna.
Ora sono scappati dalle stalle. E Washington alza le barricate. Inutili. Perché il problema da sradicare è un altro, oltre al rischio immediato per la sicurezza.
L’80% dei 74 milioni che hanno votato per il presidente sconfitto non ritengono legittimo il presidente eletto.
E la cerimonia di mercoledì – per loro – non cambierà nulla.
Emiliano Bos