Correre il rischio di organizzare una gara

Sono giorni davvero strani, questi. In cui si susseguono, come in una snervante guerra fredda, l’aumento del numero dei contagiati da una parte e le contromisure governative dall’altra.

Un botta e risposta continuo e doloroso che cerca di fare convivere le esigenze di una società aperta, con la necessità di far fronte ad una epidemia ancora senza cure.

E l’unico strumento che abbiamo è ancora il più primitivo: dobbiamo iterrompere la catena dei contagi. Dobbiamo predicare e praticare il distanziamento e l‘uso di mascherine.

In questo contesto, organizzare una gara podistica sembra assolutamente fuori luogo. Ma forse non lo è del tutto.

A Latina questa estate si sono trovati di fronte a un grosso dilemma: organizzare la quinta edizione della “Mare Lago delle terre pontine”, oppure lasciare perdere., aspettando momenti più facili.

Contro ogni pronostico sono andati avanti, hanno studiato e messo in pratica i meccanismi migliori per permetterci di correre tenendo i rischi bassi. E non si sono arresi.

Hanno limitato le iscrizioni a 300 atleti per la gara di 20 km e a 200 per quella di 9.

Gli atleti iscritti sono stati suddivisi in “griglie” da cento.

Per terra, prima del gonfiabile che incorniciava la partenza, sono stati disegnati cento pallini.

Venticinque file da quattro, rigorosamente distanziati di un paio di metri sia lateralmente, sia nel senso della corsa.

Ci è stato detto che valeva il real time e che avremmo potuto sorpassarci solo dopo la linea dello start.

Le istruzioni erano chiare e credibili (bravissima l’infaticabile speaker che ha spiegato bene come dovevamo comportarci).

 

Per tutto il tempo del riscaldamento abbiamo tenuto la mascherina, appannando gli occhiali da sole. L’abbiamo scrupolosamente abbandonata nei cestini solo entrando ordinatamente in griglia un paio di minuti prima di correre.

Al via non ci sono state le solite scene di esaltati della domenica che vogliono stare davanti a tutti i costi, e questo è stato molto incoraggiante. Il gruppo si è sgranato e la distanza temporale tra le griglie è stata di circa cinque minuti: un tempo giusto per correre tutti la stessa gara, ma evitando di stare troppo vicini.

Fino a quel momento la mia perplessità era molta. E ammetto che io non mi sarei mai preso il rischio di organizzare una gara proprio nelle settimane in cui i contagi nel nostro paese hanno preso a risalire. Non avrei saputo calcolare quanto i podisti sarebbero stati coscienziosi, quanto l’egoismo individuale avrebbe prevalso sul senso di responsabilità, quanto le misure pensate a tavolino si sarebbero poi dimostrate sufficienti.

Ma a posteriori devo dire che le mie remore erano eccessive e dal punto di vista della prudenza è stato fatto tutto come si deve.

La splendida giornata dell’ottobre pontino e il luogo hanno poi reso questa esperienza davvero memorabile.

Al di là della facile retorica, correre su una striscia di terra tra il mare del basso Lazio e il lago di Fogliano è davvero un’esperienza forte. Se poi ci aggiungiamo un carattere da orso, un amore per la natura e un passo da atleta fallito, è facile immaginare quanto la contemplazione dell’ambiente sia stata profonda.

Appena ritmo dei passi si faceva regolare, subito veniva distratto da uno stormo di garzette che volavano in diagonale o dal tuffo di una folaga nel canneto o dal richiamo sgraziato di un cormorano.

Quando la brezza portava il ricordo del sale e della salvia selvatica, subito si infilava da lontano il contrappunto odoroso del pascolo delle bufale. Appena ti prendevi il lusso di perderti in questi pensieri ti trovavi un volontario con la casacchina fluo che ti ricordava che dovevi correre.

Ma questa è un’altra storia.

Correre in posti così, persino in tempi come questi, permette di dare un piccolo impulso all’economia locale. Fatta di ristorazione, di attività commerciali, ma anche di un settore ortofrutticolo di pregio.

Ho molto apprezzato la scelta di premiare i vincitori di categoria con cassette di frutta e verdura che sorridevano più di un Arcimboldo.

Persino il pacco gara standard, quello per tutti, è stato una scelta azzeccata: una cassettina di patate americane. Non importa se un’ora prima della partenza, abbiamo dovuto assistere al siparietto sovranista del podista ignorantello che chiosava “Ma perché ammerigane? Italiane nun ve bastaveno?”.

Devo ammetterlo, la mascherina che tutti indossavamo ha aiutato a nascondere il sorriso di compatimento che questa uscita ha generato.

Ma se tutto fosse stato perfetto sarebbe sembrato un po’ finto, non è vero?

Simone Magnani

Simone con i colori della sua squadra la Podisitca Solidarietà