Bestiario dei Gavitelli

Navigare in Croazia significa inevitabilmente, ogni anno di più, cimentarsi con la Presa di Gavitello,

Croce e Delizia dei velisti della domenica.

Delizia, perché in una notte di vento un buon gavitello ti permette di conciliare il piacere di una rada con il lusso di un sonno sereno.

Croce, perché quando c’è un po’ più di vento, per alcuni il Gavitello rimane un sogno irraggiungibile, un supplizio di Tantalo che è lì a portata di mano ma non si riesce ad afferrare.

Quando si è in porto, o in questo caso in rada, uno dei passatempi preferiti dei velisti è di bere una birra fresca e godersi lo spettacolo delle manovre altrui. Alcune sono veri e propri condensati di arte marinaresca, e mi verrebbe da alzarmi in piedi ed applaudire; altre sono qualcosa di molto simile ad uno spettacolo da circo con urla, imprecazioni, litigi e colpi di scena a sorpresa.

Vorrei essere tanto filosofo da sperare sempre di vedere manovre del ben eseguite, in modo magari da imparare qualcosa.

Ma siamo fatti di acqua e fango, e nel mio caso deve essere scappata la mano col fango, così quando assisto ad una manovra in cuor mio spero sempre che facciano casino. E spesso lo fanno.

Così in anni di vagabondaggi per le rade Greche e soprattutto Croate ho visto con i miei occhi uno sterminato campionario di prese di gavitello;

Tralascerò qui quelle ben eseguite, non essendo ovviamente mia materia e non avendo la competenza e l’esperienza per commentarle, limitandomi a tentare una classificazione di quelle evidentemente fatte male, che tendono a riproporsi secondo schemi ricorrenti.

Innanzitutto individuiamo il contesto, per cerare di far comprendere anche ai non addetti quello di cui stiamo parlando.

Siamo in una rada alle cinque di pomeriggio, le ombre iniziano ad allungarsi e c’è una luce bellissima, che esalta il verde della delle chiome degli alberi che arrivano quasi a toccare l’acqua cristallina.

La rada è piccola, ci sono quattro barche a vela ormeggiate ad altrettanti gavitelli, ben distanziate, una ha messo addirittura due cime a terra. Qualcuno fa il bagno, qualcuno ascolta musica, un Sup costeggia la riva e un tenderino porta i suoi ridanciani occupanti verso il pontile di legno della Konoba nascosta dalla pineta.

L’acqua è calma, nonostante le raffiche si insinuino in alcuni punti con la forza di una quindicina di nodi, creando quelle increspature sulla superficie tanto simili alle dita di una mano.

E ad un tratto nella rada entra una barca a vela, che punta decisa verso l’ultimo gavitello libero.

Da qui in poi si entra nello stereotipo più bieco, ma vi assicuro che è quello che statisticamente avviene il più delle volte.

La barca è evidentemente un charter (ma a volte, con mia grande sorpresa, il circo l’ho visto fare anche da barche di proprietà).

Al timone c’è sempre il capofamiglia; spesso ha in testa un cappellino da baseball.

A prua c’è la moglie con in mano il mezzo marinaio.

In alcune varianti c’è il figlio maggiore, in altre la nonna, in altre ancora un amico maschio (che spesso chissà perché ha i baffi); comunque hanno in mano il mezzo marinaio, e sono a prua con lo sguardo truce e determinato, manco fossero i ramponieri di Achab a caccia della balena maledetta.

Va detto -per inciso- che capita spesso che ci sia una donna al timone, forse perché è una skipper di professione, forse perché era evidentemente la più brava della famiglia, ma in quei casi non ho MAI visto fare casini.

Tutte le volte (tante) che ho visto il circo lo schema era quello di cui sopra, con capofamiglia maschio al timone.

Bene, la nostra barca, con l’equipaggio così disposto entra nella rada a tutta velocità (primo indizio che qualcosa di divertente sta per accadere) e punta decisa all’unico gavitello libero.

A questo punto giova un’ultima premessa: la presa di Gavitello non è una manovra tecnicamente complessa.

I sacri testi insegnano che bisogna approcciarsi al gavitello da sottovento (di bolina se si è a vela) e mettere la prua in fil di vento ad una distanza tale da percorrere gli ultimi metri esattamente controvento e fermarsi proprio quando la prua raggiunge il gavitello, per dar modo all’uomo (o la moglie) a prua di afferrarne l’anello col mezzo marinaio.

Certo, ci vuole un po’ di manualità ed esperienza, anche a me (velista tre settimane l’anno e poco più) se c’è molto vento capita di non riuscire al primo tentativo. Ma la tecnica giusta è quella, e una cosa è avere le idee chiare e sbagliare l’esecuzione, ben altra cosa è non avere la minima idea di cosa fare.

E quelli senza la minima idea di cosa fare se c’è un po’ di vento inevitabilmente danno spettacolo, dando origine ad uno dei seguenti numeri da circo:

  • LA PRESA AL VOLO:

La nostra barca punta al gavitello a tutta velocità, incurante di qualunque regola di sicurezza, di buon senso e ovviamente del vento.

Il Comandante tenta un tardivo colpo di motore in retro quando ormai la boa è già sulla prua.

A quella velocità nella migliore delle ipotesi la moglie non riuscirà a centrare il gavitello.

Ma qualche volta ha buona mira e riesce a prenderlo con l’uncino del mezzo marinaio, e qui viene il bello:

La barca ha troppo abbrivio, sul mezzo marinaio si concentra tutta la forza della massa della

Barca. Lui urla qualcosa tipo “tiralo su!”, Lei urla qualcosa tipo “non riesco a tenerlo!”. Lui crede che sia colpa di Lei, e urla qualcosa che varia da lingua a lingua e da coppia a coppia. Se sono italiani a seconda della regione di provenienza di solito volano anche Santi e Madonne.

Alla fine inevitabilmente il mezzo marinaio finisce in acqua. Se gli spettatori sono particolarmente fortunati, finisce in acqua anche la moglie.

  • LA PRESA AL TRAVERSO

Questa è un po’ meno pittoresca, ma tristemente comune.

Il Capofamiglia al timone ha buona volontà, ma le idee un po’ confuse.

Rallenta per tempo, gestisce bene lo spazio tempo, riesce anche a fermarsi con la prua sul gavitello.

Si è solo scordato di approcciarsi da sottovento. Il che se il vento è poco può non essere un gran problema, ma se il vento è un po’ di più sono dolori.

Meno la barca è veloce, meno il timone è efficace, e la barca è in balia della forza del vento.

E quando la barca si ferma col vento al traverso, inevitabilmente il vento butterà giù la prua. E qui urla di Lei da prua e grandi gesti (a sinistra! Sinistraaaaaa!) a cui fanno seguito vigorosi colpi di elica di prua da parte del Capofamiglia.

Ma a quel punto la barca intera sta scarrocciando sottovento, con lei che tenta un disperato allungamento di schiena, braccio e mezzo marinaio.

Segue solito volo di santi e madonne e recriminazioni in varie

lingue tra Prua e Poppa. Non sempre capisco la lingua in cui volano le offese, ma il significato è più o meno il seguente:

Lei, urlando da prua: “Ma se ti dico a sinistra, vai più a sinistra, caxxo!”

Lui, urlando da poppa: “ma me lo devi dire prima Porcodinci, dimmelo prima!”

Poi ci riprovano, reciprocamente convinti che la manovra sia fallita per colpa dell’inettitudine dell’altro.

E rifanno tutto alla stessa maniera; solo che ad ogni giro gli animi si surriscaldano e le urla aumentano.

Ho visto le prese al traverso finire in due modi: con una botta di culo -nel momento decisivo il vento molla un po’, e la manovra riesce- o con una disdicevole rinuncia.

Nel primo caso ognuno dei due coniugi rimarrà convinto che la manovra è riuscita perché finalmente l’altro ha seguito i suoi consigli, e non avranno imparato nulla.

Nel secondo caso non so, perché poi la barca cambia rada, ma immagino segua la drammatica fine di un amore o di un’amicizia.

  • LA PRESA AL SALTO

Questa è stupenda.

Giuro di averla vista fare più di una volta.

E’ una sottovariante della presa al volo, la barca arriva veloce ed incurante della direzione del vento, e c’è una botta di motore in retro all’ultimo. Ma in questo caso al comando del

Caofamiglia la moglie (o il primogenito, o l’amico coi baffi; di solito non la nonna) salta in acqua con la cima in mano, manco fosse Tarzan nella Giungla.

L’ho visto fare ieri in una rada in Croazia, con lo Jugo che legnava forte. La barca era tedesca e a prua c’era un ciccione. E’stato lui a saltare coraggiosamente, con la barca che ancora avanzava, e per brevi concitati momenti era lui l’unico legame tra barca è gavitello, mentre lo Jugo infuriava e le urla teutoniche rimbalzavano da poppa a prua alla superficie del mare.

Uno spettacolo raro, ma indimenticabile.

  • LA PRESA DI POPPA

A volte è la conseguenza naturale di più prese al traverso fallite, altre volte è proprio l’idea principale del Comandante: approccio al gavitello di poppa in retro, con tutti gli uomini in plancetta a tentare l’aggancio, che sembra tanto quel gioco al luna Park dove i bambini devono pescare le paperelle per accedere ai ricchi premi.

Strano a dirsi (e brutta a vedersi) ma questa alla fine funziona, e in qualche modo più o meno rocambolesco poi riescono pure a portare la cima a prua.

  • LA PRESA ORTODOSSA

Questa è quella che faccio io, che tento di seguire i sacri testi.

E lo faccio con approccio talmente integralista che anche con pochissimo vento mi ostino ad arrivare al gavitello esattamente da sottovento. Il che sarebbe anche un bene, ma ci sono volte che con barche già ormeggiate mi trovo a fare giri strani in mezzo a sup, bagnanti e tenderini, oppure passaggi al cardiopalma tra la poppa delle barche ormeggiate e gli scogli della costa.

Con mia moglie che mi grida da prua: “ma dove vai? L’hai visto che è lì?”

E con il rischio che qualcuno più smaliziato mi freghi sul tempo e mi “rubi” l’ambito gavitello. E anche questo è successo, con inevitabile strascico di recriminazioni “E tu te ne vai girando…”

Ma in fondo il bello è anche questo: a volte si è spettatori, a volte si dà spettacolo, ma si è tutti protagonisti di questa bellissima avventura che è l’andare per mare.

#StorieDaCaffè