Best Woman…best dream!

E’ una mattina debole, offuscata.

La volontà è scomparsa, rimpiazzata dalla paura di afferrare un sogno che è ormai vicino, alla mia portata.

Ho subito l’altalena dei sì e dei no per quasi tre giorni e mi sento ancora divisa a metà: andare, non andare…

Mi trovo impreparata di fronte a questo giorno, primo dicembre, ricco di mille dubbi e di zero promesse, ed in cui la scelta di correre o meno la Best e provare a scendere sotto i 50 minuti nella distanza dei 10 km, si è fatta improrogabile.

Ripenso alle parole di Carlo, Pasquale, Federica, e di altri amici della squadra, che sanno quanto questo sogno significhi per me, sanno cosa rappresenti e quanta fatica ho affrontato sinora per meritarmelo.

Ma non c’è niente da fare: una parte di me sembra essere sicura, mentre l’altra non trova affatto scontato il raggiungimento dell’obiettivo.

Eppure, infilo le scarpe, i pantaloncini, la maglietta.

Riempio la sacca e senza nemmeno pensare di prendere una decisione, bè, la prendo.

E’ un giorno caldo, con tanto sole e niente vento.

Nel riscaldamento sento le gambe leggere e la mente pesante.

Una mente che non ha voglia di affrontare la fatica di questo sogno, ma lo stesso comanda il corpo nella corsa di preparazione alla gara.

Mi ritrovo in mezzo alla folla, al caldo, al sicuro e sento il vociare entusiasta degli altri runner intorno a me.

Qualcosa cambia.

La mente si libera. Cresce l’energia e decido di dare credito a quella parte di me convinta che quel sogno è possibile.

Corro i primi 4 km senza mollare mai un ritmo per me elevato, tenendo d’occhio il respiro che mi segnala di essere costantemente sotto i 5 a km, ora di poco ora di molto.

Poi rallento, prima crisi ma non cedo: respiro, e tento di non farmi distrarre dalla mia mente che subdolamente mi suggerisce immagini e pensieri che nulla hanno a che vedere con la gara.

Mi dico che devo restare concentrata sul ritmo, che il dolore del lattato passerà. Ed infatti, pochi metri, e le gambe girano sotto i 5 ancora e ancora.

Mi impongo però di proseguire tenendo una resistenza di poco sopra i 5, e mi dico che non è finita finchè non è finita, anche quando scendo a 5 e 20 a km senza capire perché.

Al 7 km ho talmente tanto dolore muscolare che penso di fermarmi, di rallentare, di rinunciare…

…ma poi respiro profondamente e di nuovo, suggerendo alla mente di impegnarsi solo a pensare ai piedi, ora più di ogni altra parte del corpo.

Guardo l’orologio: sono passati 42 minuti di corsa e manca un kilometro e mezzo alla fine.

Le gambe si fanno leggere, daccapo, come per magia… metto il turbo e ci credo.

Supero tante persone, tento di non farmi rallentare e mi sparo gli ultimi duecento metri in pista come se non ci fosse un domani.

Taglio il traguardo con un 49 e 47 di tutto rispetto e piango, piango come se fosse morto qualcuno.

Mi dico che in fondo, è proprio così, una parte di me è morta, è stata uccisa per fare in modo che questo sogno si realizzasse.

Do il benvenuto festoso alla gioia tra le braccia dei compagni di squadra e della coach, orgogliosa perché tutti oggi hanno fatto il loro personal best.

Torno a casa, incredula e sconosciuta a me stessa, in questa inaspettata dimensione dove ho imparato ad acchiappare i miei sogni.

Buone gare a tutti

Chiara Agata Scardaci

 

 

 

 

 

 

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