I luoghi alla moda, come si sa, sono quelli maggiormente affollati. Una “tenda” al Twiga – per la modesta cifra di un migliaio di euro al giorno (bottiglia d’acqua naturale compresa, beninteso) – è diventata un bene necessario ed al quale non possiamo rinunciare, anche se poi dobbiamo passare dal “cravattaro” di turno e cedere un rene, seppur con un certo dispiacere.
Tra i “luoghi” alla moda, vi sono anche quelli del pensiero. E’ chiaro che questa estate, così come negli ultimi 10mila anni, ad alterne ricorrenze, il caldo è insopportabile. Non bastasse il caldo, qualche chilometro più su, vento e grandine, ci dicono che è meglio non lamentarsi troppo.
Questa volta, rispetto al passato, in cui, più o meno fatalisticamente, facevamo “spallucce”, abbiamo trovato un colpevole. E’ colpa dell’uomo che non usa più il cavallo, ha deciso di lavarsi (con maggiore frequenza) e, se può, accende anche il condizionatore. E’ il progresso, bellezza! E, siccome non esiste alcun pranzo gratis, il conto prima o poi doveva arrivare. Ed è arrivato e, per quanto possiamo tergiversare, qualcuno lo dovrà pagare.
I giovani di Nuova (de)generazione – tutti social e vernice levabile – predicano ma lo fanno in termini non dissimili dalla bontempona che si accampa davanti all’Università di Milano perché le disturba il trucco farsi mezz’ora di treno da casa e chiede – immolandosi in una tenda di Decathlon – il diritto di abitare nel rettorato. Tutti costoro, peraltro, non “razzolano”, cioè non hanno costituito una comunità simil-amish lavorando la terra e rifiutando la tecnologia. Si battono, affinché i “vecchi” smettano di inquinare, liberando risorse per l’auto elettrica e lo smarthphone con 12 telecamere integrate.
Peccato che non sappiano affatto quale sia l’inquinamento provocato dai social, dagli smartphone e da tutte le “diavolerie” connesse all’Infosfera. Esattamente, come l’auto elettrica, sì bellina, ma alimentata a carbone dal quale si ricava l’energia. Potrei darvi le cifre, ma vi chiedo di credermi sull’onore.
A questo punto, sarei per una soluzione drastica. Visto che la terra può sicuramente fare a meno di tutti noi, siamo organismi del tutto superflui e da eliminare al più presto. Sicuramente ci saranno terremoti, mareggiate ed altri accidenti climatici, ma noi – dipartiti – andremo in mondo migliore con la coscienza (ecologista) a posto. Probabilmente, a ben guardare, esistono anche soluzioni meno definitive.
Oltre agli ecologisti oltranzisti che andranno a popolare i boschi, una di queste ci riguarda nella veste di podisti. Con il clima più “strano” dell’ultimo eone, è chiaro che parte della colpa è anche di loschi individui in canotta e calzoncini che, invece di sudare a casa propria, vanno in giro – senza un chiaro “perché” – aumentando la produzione di CO2, di vapore, per giunta rischiando l’infarto ad ogni pié sospinto ed aggravando il già spompato servizio sanitario nazionale. Lo sport, in queste condizioni “ideologiche”, è diventato contrario alla salvaguardia dell’intero pianeta. Se ognuno deve fare la sua parte, occorre smettere.
Il neo ufficio climatologico della FIDAL stabilirà quando (e dove) sarà possibile svolgere attività podistica, senza spingere il nostro pianeta oltre il baratro. Scordatevi il vecchio calendario delle gare, ora la logica imperante è quella di essere “compatibili” e, se ciò non succede, è tutta colpa nostra.
Nel frattempo, prima che accada l’irreparabile, ci toccherà comprare i “certificati di emissione ambientale” (Run Cycle Costing) anche per poter sgambettare un’oretta. Sicché, con la pioggia, con il sole o qualsivoglia controindicazione climatica, possiamo sudare tranquillamente i nostri 10K, certi che in questa occasione, sborsando qualche altro euro, il sistema reggerà. Fin quando non si sa; quindi è bene mollare il divano nel rifugio antiatomico e sfidare gli eventi. Siamo qui anche per questo, o no?
[Riferimento culturale: Fallout, Serie Tv, 2024]