È solo running

Da sempre la formula magica del running è : una strada + del tempo a disposizione = una bella corsa. Ma quando resta solo la strada è meglio lasciar perdere.

Sulla falsa riga dell’incipit del podcast “È solo sesso” di Valeria Montebello per cui la formula magica del sesso è: attrazione + ostacoli = eccitazione, dove l’autrice si immerge nelle profondità e negli orrori del sesso contemporaneo. allo stesso modo a Storiecorrenti, da sempre, ci immergiamo nelle profondità e negli errori del running contemporaneo.

Il nostro è quello sognato, quello discusso e rappresentato sui nostri social e lo facciamo restituendo il ritratto di una attività a volte disperata, piena di ironia e insidie.

Correre è una di quelle passioni che, appena la spieghi, sembra sempre dover essere giustificata.

Troppo lento? Non ti stai impegnando. Troppo veloce? Hai troppo tempo libero. Se corri da solo sei un asociale, se lo fai in gruppo siete una setta. Qualsiasi cosa tu faccia, qualcuno sarà lì a dirti che non va bene. Eppure, continui a farlo. Perché?

Perché la corsa non è mai stata solo una questione di prestazioni, cronometri o record personali. È un rapporto intimo, viscerale, simile a una storia d’amore.

Non sono i regali o i gesti eclatanti a definire un amore, ma la presenza, i piccoli momenti, le condivisioni silenziose. Così è anche per la corsa: non sono i tempi registrati o le distanze percorse a renderla memorabile, ma le persone che incontriamo, gli sguardi all’arrivo, le mani tese, i sorrisi complici.

È vero, a volte fa male. Non solo alle gambe, ma all’anima. Quando i social ti sbattono in faccia il successo altrui mentre tu sei bloccato da un infortunio o da una giornata no. Quando i tuoi pantaloncini rivelano cosce stanche e affaticate, o quando le unghie dei piedi dichiarano guerra all’estetica. Eppure, anche questo è parte del gioco. Della realtà.

Ci saranno sempre confronti impietosi: l’anziano che corre il doppio, il “fuori forma” che arriva prima, lo sguardo critico di chi non capisce quella tua felicità sudata immortalata in un selfie. Ma proprio lì, in mezzo al dubbio e alla fatica, trovi il senso più profondo della corsa.

Correre è libertà. È il diritto di alzarsi la domenica all’alba con la nebbia e farsi domande che solo il rumore dei propri passi può aiutare a risolvere. È la tabella di allenamento più onesta che ci sia: “Corro quando mi va – non corro quando non mi va.”

Non c’è bisogno di essere eroi, né di scalare le montagne più alte per sentirsi vivi. Basta sapere che quella gara che sta per arrivare, quella di domenica, è già un pezzo di te. Perché tutto il cammino che ti ha portato lì – i dubbi, le fatiche, gli errori – è ciò che rende la corsa un atto di amore verso te stesso e verso gli altri.

La corsa non è mai stata solo sport. È memoria, condivisione, cura. È la voglia di passare la spalla a chi corre accanto, di fidarsi, di perdonare i propri limiti e imparare dagli infortuni. Potrai correre cento, duecento maratone: se l’hai fatto solo per te, non avranno lasciato traccia.

Ma se anche solo una volta hai guardato qualcuno e hai detto “Andiamo, ce la facciamo insieme”, allora quella corsa ha avuto un senso. Ed è lì che la strada diventa vita, esempio, scintilla d’amore.

 

Marco Raffaelli
Appassionato dello sport e di tutte le storie ad esso legate. Maratoneta ormai in pensione continua a correre nuotare pedalare parlare e scrivere spesso il tutto in ordine sparso