Metti tre amici di corsa la domenica mattina…

Mentre persone più sagge si godevano una colazione lenta o un meritato sonno, tre irriducibili — Riccardo, Emiliano e Claudia — si sono dati appuntamento a Piazzale Jonio, convinti che coprire venti chilometri di corsa fosse un’idea brillante.

Accolti da una città deserta, hanno imboccato Viale Tirreno, diretti verso Corso Trieste, dove persino i piccioni sembravano guardarli con compassione.
Nessun pendolare a intralciarli, nessun pubblico ad applaudirli: solo loro, il sudore precoce e una domanda che già iniziava a farsi strada nelle loro menti: “Perché?”

Attraversando Villa Borghese, tra statue impassibili e cani decisamente più atletici di loro, i tre hanno raggiunto il Pincio.

La salita finale — fatta di passi trascinati e smorfie degne di un quadro espressionista — li ha condotti fino al belvedere, sotto lo sguardo curioso di un paio di anziani che, con la saggezza dei tempi andati, gli hanno ricordato che un passo da 5:30 al chilometro, ai loro tempi, era considerato poco più di una camminata veloce.
Il panorama su Roma era mozzafiato. Loro, di fiato, ormai non ne avevano più.

Un pensiero, inevitabile, è andato agli assenti, agli eroi da cartolina:

  • Marco, impegnato a Orbetello in una mezza maratona da sogno: massimo risultato, minimo sforzo scenografico.
  • Francesca, alle prese con la Sarnico Lovere, più attratta dal lago che dal cronometro.
  • Giulia, persa tra le bancarelle di Istanbul, fingendo di correre una mezza maratona.
  • Chiara, instancabile nel documentare ogni brunch californiano su Instagram.

A loro è sfuggita la vera gloria: arrancare nella polvere romana come gladiatori fuori forma.

Dopo il selfie di rito, spazzato via ogni residuo entusiasmo, i nostri eroi hanno dovuto affrontare una terribile verità: tornare indietro.
Se all’andata erano corridori (più o meno) determinati, al ritorno si sono trasformati in pellegrini esausti.

I vialetti di Villa Ada, normalmente idilliaci, sembravano allungarsi chilometro dopo chilometro, in un crudele gioco della mente.
Ogni fontanella diventava una tappa di salvezza, ogni ombra un irresistibile invito a fermarsi “solo un minuto”.

Emiliano cercava di convincere gli altri che “era tutta discesa”, Riccardo faceva complicati calcoli astratti su quanto ancora li separasse dalla fine, mentre Claudia — con la lucidità di chi ha capito tutto — proponeva senza esitazione di chiamare un taxi.

Dopo chilometri di fatica mista a disperazione, sono finalmente rientrati a Piazzale Jonio, accolti con la stessa indifferenza che li aveva visti partire.
Niente medaglie. Nessuna folla festante.
Solo un pensiero fisso: colazione abbondante e mai più parlare di corse sopra i 10 km.

Fine dell’impresa.
Fine dell’illusione atletica.
Inizio della leggenda… nella loro testa.