“La Cicala di Belgrado”: un viaggio identitario nella Jugosfera raccontato da Marina Lalović

In una tranquilla mattina di sabato, tra il profumo di pizza sfornata e l’eco di risate familiari, la Pizzeria di Quartiere di via di Pietralata si è trasformata in uno spazio letterario palpitante. A ospitare la scena è stata la presentazione di La Ciacala di Belgrado, edito dalla casa editrice Bottega Errante, firmato dalla giornalista serba Marina Lalović, con la prefazione di Giorgio Zanchini, la postfazione di Gigi Riva e le illustrazioni di copertina di Elisabetta Damian.

Sotto la regia appassionata di Olimpia Camilli, lo spazio della pizzeria si anima ogni sabato – da dicembre a giugno – di libri, parole, prodotti artigianali, musica e dialogo. È un nuovo cuore pulsante del quartiere Pietralata, un tempo periferia operaia, oggi trasformato in un laboratorio urbano vivo grazie alla ristorazione, alla cultura e alla socialità diffusa.

Olimpia Camilli con l’autrice Marina Lalovic

Ed è proprio qui che il racconto di Marina Lalović ha trovato casa per una mattina. Nata a Belgrado nel 1981, in quella Jugoslavia che presto avrebbe attraversato le sue fratture più profonde, Marina Lalović si trasferisce in Italia nel 2000, anno di grandi cambiamenti per il suo Paese. Qui si laurea in Editoria e Giornalismo presso l’Università “La Sapienza” di Roma, iniziando una brillante carriera nel mondo dei media.

Ha lavorato come redattrice per Babel TV (canale 141 di Sky), occupandosi di immigrazione, e come corrispondente da Roma per importanti media serbi, come il quotidiano Politika e l’emittente radio-televisiva B92. Attualmente è parte della redazione esteri di Rainews24 e collabora con Radio Rai 3. Il suo sguardo cosmopolita e attento alle dinamiche sociali l’ha portata a raccontare storie di confine, di lavoro e di identità. Nel 2014 ha vinto il Premio Marco Rossi per il documentario Chi fa la fila al posto tuo?, dedicato alla nascita del primo codista professionista in Italia, simbolo delle nuove professioni e delle mutazioni del mondo del lavoro.

La sua scrittura, definita da Zanchini “elettrica” e “vorace di esperienze”, si muove tra i ricordi d’infanzia nella capitale serba e la consapevolezza maturata come expat in Italia.

Nel suo libro, Lalović incrocia due sguardi: quello intimissimo e nostalgico su Belgrado, città attraversata da guerre, transizioni e dolori, e quello più distaccato ma profondamente partecipe sulla sua esperienza migratoria. Il fil rouge è la parola “transizione”: quella politica della Jugoslavia post-Tito, quella esistenziale di chi parte, lascia, si ricostruisce altrove.

La Cicala di Belgrado è voce narrante e simbolo di un’identità in movimento. Lalović racconta un’intera generazione svuotata dalla patria, osservata attraverso il filtro del distacco: “Quando torno oggi a Belgrado mi sento un po’ fuori contesto, quasi una straniera anch’io”, scrive. E cita Meša Selimović per spiegare il sentimento di chi non è più ciò che era, ma non è ancora qualcosa di nuovo.

Nel dialogo con il pubblico, l’autrice ha raccontato l’incontro-scontro con gli altri giovani balcanici in Italia, dove paradossalmente ha imparato a conoscere davvero la complessità jugoslava. Lingue, mode, musiche, tutto può dividere e unire. E il libro lo racconta con delicatezza e ironia, lasciando spazio anche alla nostalgia e a un senso di “catartica non appartenenza”.

L’incontro ci ha fatto capire che non ci sono terre di confine e che oggi l’identità di un popolo si afferma lì dove vengono riconosciute le sue tradizioni e intrecci storici. Il libro di Marina Lalović dimostrare che cultura e comunità possono incontrarsi, contaminarsi e crescere insieme.

Foto da Puntatellarossa.it