Le fatiche del moderno trail runner

Il lago delle Trote

Iscriversi a una gara di trail running è un’esperienza che ti cambierà la vita, ma prima di tutto, segui una regola d’oro: scegli solo le gare dove ti aspetta una bella birra fresca all’arrivo. Fidati, ne avrai bisogno.

Non importa quale attrezzatura super-tecnica deciderai di sfoggiare, c’è sempre quell’amico espertone che ti guarderà e ti dirà: “Non va bene niente.” Che siano scarpe da trail con suola in vibranio o una maglia che promette di mantenerti fresco come su una stazione spaziale, qualcosa non andrà mai bene per lui.

Puoi allenarti 12 mesi di fila, seguire tabelle di allenamento complicate e affidarci il tuo tempo libero, ma ci sarà sempre quella salita. Quella salita maledetta che, non appena la affronti, ti fa gridare al vento: “CHI CAZZO ME LO HA FATTO FAREEEE!”

Il trail running è un’illusione, una fatica travestita da passeggiata nella natura.

Sì, perché bruci più calorie in una gara che in una settimana di pasti completi, e senza la gioia di una pizza o un bel piatto di pasta alla fine. Nel trail si cammina all’ombra e si corre al sole, una legge non scritta che, se ignorata, ti lascerà non solo scottato sulla pelle, ma pure nell’anima.

Se sei magro, andrai più veloce; se sei un po’ più “in carne”, tranquillo, farai più amicizie. E comunque, si sa, le salite sono democratiche: fanno schifo a tutti.

Il trail running è bello se condiviso con la famiglia, si dice. Ma quando tua moglie, con i bambini che piangono, ti aspetta ai piedi del monte in una gelida mattina d’ottobre, e ti vede arrivare scortato dalle guide alpine perché hai deciso di testare le tue nuove scarpe su un sentiero non segnato… ecco, magari ne riparlerete più tardi.

Ah, i video motivazionali di Kilian Jornet… Guardarli ti fa sentire invincibile, ma attenzione: non ti rendono più veloce e non ti rendono più resistente alla fatica. Soprattutto, non ti iscrivere al “Trail delle 1000 Salite” solo perché lui lo fa sembrare facile. Spoiler: non lo è.

E non ascoltare mai l’amico che ti dice: “Dai, sono rimasti pochi pettorali!”. Ti pentirai di averlo fatto, e quando, in una torrida mattina d’estate, capirai che il trail non fa per te, maledirai le salite, il caldo, e soprattutto quel tuo amico. Ex amico, per l’esattezza.

Il segreto del trail running? Correre quanto ti va, divertirti il più possibile, e far durare la corsa quanto ti serve. Perché alla fine, è la miglior terapia per anima e corpo.

Poi arriva il giorno della gara.

La settimana è iniziata con entusiasmo: hai fatto acquisti online, spinto dai consigli dell’amico espertone, e il plafond della carta di credito ormai è un ricordo. Nuove scarpe high-tech, maglia in tessuto spaziale, pantaloncini che promettono gambe toniche e riposate. Ti senti pronto a tutto.

 

E poi, il giorno della gara, sei lì alla partenza, occhi chiusi, rivolto al sole in posizione Kai Bu di Tai Chi.

Tutto sembra perfetto. Finché lo start non ti dà una sveglia.

Parti, e subito capisci che c’è qualcosa che non va. No, non sono i 35 cheerpack che ti porti appesi alla cintura, facendo sembrare un cacciatore scozzese dell’800, né la tua camel bag da 18 litri. È il semplice fatto che non sei fatto per questo.

Arrivi alla prima forcella, e lì tutto diventa chiaro: la fatica ti colpisce come un pugno. Sconvolto, ti ritrovi a ridere e piangere come un novello Joker, mentre i fotografi immortalano il tuo stato d’animo al 4° km, un’immagine che probabilmente comparirà su qualche meme di pessimo gusto.

Intanto, i tuoi amici, comodamente seduti al ristorante, ridono e commentano la tua disfatta. Sazi e contenti, sanno che non li tormenterai più con le tue manie di trail running per almeno un mese. O forse solo per qualche settimana.