Fuori dai cancelli della fabbrica della fatica, il cielo è buio. Intorno a me, altri operai corrono, pensando alla giornata che li attende.
Gonfio i polmoni, sereno, e varco il tornello immaginario per mettermi sulla linea di partenza, segnata a terra da uno “Start” e uno zero in vernice bianca.
Ogni azione qui è misurata per valutare il rendimento del lavoro. Ho scelto di lavorare in questa fabbrica per cambiare la mia visione della corsa, perché qui il processo su larga scala produce beni che non potrei realizzare da solo.
Fuori, sprecherei energie e pagherei un prezzo troppo alto. L’importante è seguire il regolamento senza esitazioni.
I prodotti di successo sono standardizzati e dipende solo da me ottenere ciò che desidero, seguendo le regole per il successo.
Lavorando sulla mia “One best way”, devo eliminare ogni movimento falso, lento, impreciso e inutile, sfruttando al meglio i miei strumenti.
Devo restare in armonia con chi corre accanto a me, non dare fastidio, oscillare le braccia, spingere e sfruttare la scia del gruppo.
Il passo deve essere lungo, lo sguardo rilassato e le spalle devono facilitare il movimento delle braccia.
Devo respirare bene e rullare il piede con precisione. Il semilavorato che sto costruendo si ottiene solo eseguendo al meglio tutte le operazioni del ciclo produttivo.
È essenziale curare la forma di ogni prodotto, perché anche questa fa parte del contenuto.
La mia determinazione sarà il volano che mi porterà al prodotto finito.
Non dimentico mai il piacere di applicare un principio semplice e universale: dare il meglio di me porterà i suoi frutti.