LAGGIU’ QUALCUNO MI AMA

Mario Martone e Paolo Sorrentino: due grandi. Non certo e non solo del cinema napoletano ma due firme che hanno contrassegnato, a livello internazionale, consensi e strepitosi successi del nostro cinema da almeno vent’anni a questa parte.

Ebbene, in queste settimane in cui le ricorrenze del cuore si rincorrono ( gli ottanta anni dalla nascita di Lucio Dalla e di Lucio Battisti, oltre a quella per cui stiamo scrivendo, con l’anima sulle dita, queste righe ), hanno dichiarato che Napoli, e con lei l’Italia, ha dato i natali ad un grande regista. Giovane, democratico, spesso e ben più vicino alla Nouvelle Vague di Godard e co. che ai nuovi comici, a cui è stato con una certa fretta apparentato.

Lo dichiarano con affetto, ma, si badi bene, non certo un affetto deformante la realtà, in LAGGIU’ QUALCUNO MI AMA, il docufilm dedicato ai 70 anni dalla nascita di Massimo Troisi. Il lavoro di Martone, con contributi del già citato Sorrentino, di Anna Pavignano ( compagna di vita per un periodo importante e di scrittura per tutta l’esistenza del cineasta di San Giorgio a Cremano, oggi denominato Casa Troisi ) che ognuno di noi dovrebbe correre a vedere.

Perché?

Perché ci dona l’esempio di un talento certo che ha flirtato più col pubblico che con la critica e che è riuscito a rendere universale un “personaggio dell’imbarazzo”, afasico, pieno di tic, sincero e bugiardo nello stesso tempo, coerente dal primissimo RICOMINCIO DA TRE fino a IL POSTINO, il progetto a lungo bramato tanto da giudicarlo irrimandabile e perderci la vita il giorno dopo la fine delle riprese. Un talento artistico e umano che può ispirare i giovani a credere, in un tempo così rarefatto, sospeso e privo di grandi personalità a fungere da faro, nel futuro.

Con materiali inediti e di prim’ordine, Martone ci conduce per mano a ricordarci di Troisi, o a scoprirlo. Partendo dagli esordi in cui poteva essere scambiato per un cabarettista qualsiasi fino a scoprire la modernità inaudita di alcune scelte drammaturgiche, condivise sempre con Anna Pavignano, e la creazione altrettanto complessa e contemporanea di figure femminili mai artefatte o accessorie, ma sempre motori della vicenda problematici e in grado di smuovere le certezze conservatrici del maschio.

In RICOMINCIO DA TRE abbiamo il protagonista che accetta di tirar su un figlio di una fidanzata senza la certezza che sia suo e siamo nel 1981, mentre il cinema italiano dell’epoca si sollazzava con Celentano e il suo BINGO BONGO, con PIERINO COLPISCE ANCORA e con DELITTO SULL’AUTOSTRADA.

Un uomo nuovo, non un nuovo comico. Che accetta di rendere palesi i suoi limiti anche in SCUSATE IL RITARDO dove cerca di fronteggiare la grinta e la passione di una Giuliana De Sio, icona della donna di carattere, con le pause, gli sguardi, le mani sulle sopracciglia, come farà fino all’ultimo film, anche quando diretto da altri.

Un uomo altrettanto imbarazzato nella farsa cinquecentesca in complicità con Benigni, NON CI RESTA CHE PIANGERE, il cui primo tempo rimane una delle cose più fresche e sincere del cinema degli ultimi 40 anni ( altra ricorrenza, uscì proprio nel 1983 ), con risate a schermo acceso che caratterizzano, tuttora, ogni proiezione.

Il tiro si fa palesemente più alto con LE VIE DEL SIGNORE SONO FINITE dove si rende più programmatico un certo antifascismo e un’idea di democrazia che oggi appare coerente e costante in tutta la filmografia troisiana ( perché quest’aggettivo, molto presto, si sentirà almeno quanto felliniano e verdoniano ) e che vede l’uomo Troisi con una pettinatura che ricorda da vicino Antonio Gramsci alle prese con le difficoltà del ventennio e con la solita donna di grande personalità da fronteggiare senza risultati.

Infine, l’ultimo film PENSAVO FOSSE AMORE INVECE ERA UN CALESSE in cui risolve la crisi della coppia contemporanea in un rapporto che non ammette certificati né promesse, in un rinnovarsi giornaliero fuori da ogni convenzione. Tra i due, la trilogia in cui Troisi si fa dirigere da Ettore Scola, incontrando Marcello Mastroianni: un po’ il cinema di papà che ammette a corte il giovane talentuoso. E lui si fa “ammettere” col suo consueto stile balbettante ma più incisivo di un’invettiva, malinconico e pronto a sfidare i paradossi e i non detti, in una sfida di sincerità che fa vibrare ancora oggi, nel gioco di sguardi con Mastroianni a creare una magia rara e non completamente percepita dalla stampa e nemmeno dal pubblico, nonostante la Coppa Volpi a Venezia per CHE ORA E’.

E ancora: la mancata partecipazione al festival di Sanremo del 1981 alla vigilia della manifestazione stessa perché rifiutò di mandare in Rai in anticipo i testi del suo pezzo, il raduno recentissimo organizzato dal cinema America di Roma alla riscoperta delle sue opere, le voci off di Mastandrea, Favino, Orlando che leggono gli appunti che Troisi prendeva nella fase di preparazione dei suoi film, la fratellanza con Pino Daniele e gli accordi di QUANDO suonati alla chitarra sul divano di casa Troisi.

E poi il colpo al cuore, in ogni senso: IL POSTINO portato avanti diremo quasi contro il parere dei medici e terminato poche ore prima di morire, con un aereo prenotato per gli States per il trapianto di cuore il giorno successivo.

Coincidenze? Destino? La voglia di andarsene? Se pensiamo a quel che avrebbe potuto dare dopo i suoi 41 anni viene voglia quasi di maledire questo film, firmato da Michael Radford e musicato da Luis Bacalov che arrivò fino all’Oscar per questa colonna sonora, che oggi è forse la musica con cui ogni servizio televisivo accompagna qualsiasi ritratto possibile di Troisi e che, paradossalmente, Troisi non ha mai sentito.

E comunque, rimpianti a parte, LAGGIU’ QUALCUNO MI AMA riconcilia con la vita e con le possibilità dell’esistenza, con l’immaginazione che ci offre di prendere strade in taluni bivi che illuminano il percorso. E la strada di vedere questo film può illuminare a qualsiasi età, nella consapevolezza che in ciascuno di noi sia cresciuta, accanto a Troisi, la sua idea di democrazia, di libertà e di tolleranza.

Elvio Calderoni
Ho vissuto senza sport per i miei primi 40 anni. Adesso diciamo che sto recuperando, dato che ho un sacco di muscoli e fiato ancora nel cellophane. Cultore della parola detta e scritta, malato di cinema, di musica, di storie. Correnti, già corse e da correre.