Si parla in questi giorni di quanto sia rancorosa Shakira, che dopo aver scoperto il tradimento da parte di Piquè ha addirittura composto una canzone per vendetta.
Terribile? Diciamo di sì.
Ma se si parla di portare rancore e aver voglia di vendicarsi, il gesto della brava Shakira impallidisce di fronte a quella che per me è la regina incontrastata della vendetta:
Mariya Oktyabraskaya.
Marya nasce povera, ma proprio povera povera nella Crimea del 1905, praticamente nel medioevo; una specie di serva della gleba.
Poi arriva la Rivoluzione di Ottobre, Mariya viene emancipata dalla terra e trova lavoro in fabbrica, in seguito diventa centralinista.
Nel 1925 sposa Ilya Ryadnenko, ufficiale dell’esercito, e insieme cambiano il cognome in Oktyabrakaya, in onore della Rivoluzione.
Nel 1943 inizia l’operazione Barbarossa, i Tedeschi invadono Russia, e per i russi inizia la guerra di resistenza contro l’invasore, che con quella bravura per i nomi che è tutta russa, chiameranno “la Grande Guerra Patriottica”.
Mariya viene evacuata in Siberia e adibita ad operatrice radio, Ilya ovviamente va al fronte e resta ucciso in una battaglia dalle parti di Kiev.
Insomma Mariya perde il marito in guerra, come purtroppo è successo a milioni di mogli, da entrambi i lati del fronte, e resta vedova.
Solo che Mariya la prende male.
Molto male.
E al comprensibile dolore e desiderio di vendetta, reagisce in modo che con un eufemismo potremmo definire inusuale.
Mariya non si limita a piangersi addosso, a covare rancore o a meditare vendetta, ma passa ai fatti; e lo fa in modo piuttosto radicale:
vende tutto quello che possiede, si compra un Carro armato T-34 e parte per il fronte con l’unico obiettivo di fare il culo ai Nazi che le avevano ammazzato il marito.
Niente male.
Detto così sembra una barzelletta, ma lo ha fatto veramente.
Ora, non è che in Russia si vendessero Carri armati nelle concessionarie, ma Mariya non si fa scoraggiare, prende carta e penna e scrive a Stalin:
“Mio marito è morto combattendo per difendere la madrepatria. Voglio vendetta per la sua morte contro i cani fascisti e per la morte della popolazione sovietica torturata dai barbari fascisti. A questo scopo ho depositato presso la Banca Nazionale tutti i miei risparmi, 50 mila rubli, per finanziare la costruzione di un carro armato. Chiedo cortesemente che sia battezzato “Fidanzata Combattente” e che mi inviate al fronte come suo pilota.”
Stalin è una vecchia volpe, e quando viene a sapere della storia capisce al volo il potenziale mediatico. Così in attesa che il T-34 sia pronto manda Mariya in un centro di elite per l’addestramento dei carristi, e avvia la macchina della propaganda.
Nell’autunno del ‘43 Maria è pronta ad andare in battaglia, e alla guida del suo “Fidanzata Combattente” viene aggregata al 2° Corpo Corazzato della Guardia.
Nonostante l’attenzione mediatica, Mariya resta una donna di 38 anni in un esercito fatto da ventenni maschi, e nessuno si aspetta nulla da lei, se non isterismi da donnetta e possibilmente una morte da esaltare ai fini propagandistici.
Così comincia la battaglia di Smolensk.
E succede l’inaspettato.
Altro che donnetta isterica, altro che morte eroica.
Mariya alla guida del suo carro è un demonio, una macchina da guerra.
Disubbidisce agli ordini, scatta in avanti e avanza per prima sulle linee nemiche, distrugge postazioni anticarro, schiaccia sotto i cingoli nidi di mitragliatrice, massacra nazisti a profusione.
Sul più bello della sua avanzata inarrestabile il suo carro viene colpito ad un cingolo e si blocca; gli ordini impartiti via radio le intimano di rimanere all’interno e aspettare rinforzi.
Ma chi? Mariya? Aspettare??
Macchè.
Scende dal carro con in mano il suo Spagin (il mitra russo con il caricatore tondo) e massacra i nazi lì in zona. Poi molla lo Spagin e prende le chiavi inglesi, e incurante dei proiettili che le fischiano intorno, tra le esplosioni e crolli ripara da sola il cingolo danneggiato della “Fidanzata Combattente” e lo rimette in asse, poi torna dentro, riparte e si unisce ai suoi per l’assalto finale.
Un trionfo.
Tornati al campo nessuno la deride più. Ora è un idolo per i soldati che la chiamano “mamma”.
I giornali impazziscono, da Mosca arriva la promozione a sergente. Scriverà in una lettera alla sorella:
“Ho avuto il mio battesimo del fuoco. Ho sconfitto i bastardi. A volte sono così arrabbiata che non riesco nemmeno a respirare”
La guerra va avanti, e dopo ogni azione la leggenda di Mariya cresce, insieme alla sua implacabile sete di vendetta. In battaglia Mariya è un incredibile misto di abilità, determinazione, follia.
In ogni azione cui prende parte è la punta dello schieramento, la prima a sfondare le linee nemiche.
Fino al gennaio del 1944, battaglia di Viebsk.
Durante il consueto assalto alle trincee tedesche il carro di Mariya viene danneggiato, e al solito la nostra eroina scende per ripararlo. Ma un’esplosione nelle vicinanze le scaglia contro schegge di ferro che la colpiscono in testa, perforando l’elmetto.
Mariya va in coma, e morirà due mesi dopo senza mai risvegliarsi.
Sarà la prima donna a ricevere l’ambita onorificenza di “Eroe dell’Unione Sovietica”.
E “La Fidanzata Combattente”?
Pare che dopo la sua distruzione a Vibesk, i suoi compagni abbiano scritto il suo nome sulla torretta di un altro carro; e così di seguito, ogni volta che uno veniva distrutto, un altro carro veniva battezzato “Fidanzata combattente” e spargeva il panico tra le truppe nemiche.
Battaglia dopo battaglia, vittoria dopo vittoria c’è sempre stato in campo una “Fidanzata Combattente” tra le truppe del Corpo Corazzato della Guardia che lottava per cacciare dalla Madrepatria l’odiato invasore tedesco.
Mi piace immaginare che ce ne fosse uno anche quando l’Armata Rossa entrava vittoriosa a Berlino, una città ormai devastata e ridotta a cumuli di macerie.
La Grande Guerra Patriottica è vinta.
I Nazisti sono stati sbaragliati.
Mariya Oktobryaskaya non c’è più, ma il suo spirito continua a vivere.
La Fidanzata Combattente ha compiuto la sua vendetta.