Il Trail dei Monti Simbruini di domenica scorsa è stata una gara dura oltre ogni misura.
Sicuramente per la distanza, 24 km (forse anche 25k), per i +1320 di dislivello e i tanti passaggi tecnici di tutto rispetto.
Ma i trail sono belli anche per questo, caratteristiche che fanno la differenza e saziano anche i trailer più voraci.
Non correvo un trail così impegnativo da troppo tempo. Le gare di avvicinamento delle ultime settimane, gli allenamenti e i lavori in casa dei giorni scorsi hanno smosso limiti inaspettati
– a proposito andrebbe scritto un capitolo a parte sulle ripercussioni atletiche dovute alle ristrutturazioni in casa fatte in corrispondenza di gare – Non ci dimentichiamo che la domenica è solo la punta dell’iceberg di quanto facciamo tra sport e impegni quotidiani.
Ma insomma, il Trail dei Monti Simbruini è stato un lavoro di pazienza e forza, caparbietà e voglia di arrivare fino in fondo.
In un’altra situazione forse avrei mollato per un ritiro inutile quanto scontato, ma il bello delle corse in natura è che fai meno fatica a chiudere la gara che a tornare indietro.
La differenza l’ha fatta la bellezza delle Alpi del Lazio, come chiamano i Simbruini, grazie alla quale le quattro ore di gara sono passate con lo sguardo su scenari incomparabili e alle sensazioni provate lungo crinali impervi e vallate in fiore.
Una gara con una organizzazione perfetta, dal ritrovo in partenza, all’accoglienza dopo l’arrivo. Lungo il percorso le balisse e le bandierine segna direzione erano praticamente ovunque, non ti sentivi mai solo neanche sotto l’ombra di una faggeta tra le più estese d’Europa.
I ristori e le parole di conforto dei volontari, all’altezza di una competizione di livello internazionale, hanno fatto la differenza.
Era da tempo che non trovavo stimoli di questo valore. Dopo aver corso praticamente dappertutto o quasi finalmente sui Monti Sibruini ho respirato l’aria di quando sei consapevole di aver fatto una cosa come se fosse la prima volta.
In passato il piacere di correre in natura lo avevo vissuto con la sfrontatezza di anni freschi e inebrianti. Poi una lunga pausa fino a questa estate tra cime e dirupi. Cosa resta di una mattinata bellissima: gli amici con cui ho condiviso la fatica, grazie Alessandro Amici e Stefano Pezzotta.
La panoramica cresta della Monna dell’Orso e il primo passaggio a le “Vedute” con l’affaccio sulla catena dei Simbruini e degli Ernici con il borgo di Jenne in lontananza.
La vetta del Monte Autore la più elevata della provincia di Roma, (1856m), dal quale i panorami sono grandiosi in ogni direzione.
Un pensiero non proprio esaltate alla seconda vetta del tracciato: quella di Monte Calvo. Qui ho capito molte cose della fatica, aspetti che sono più vicini ai nostri limiti e alle possibilità di considerarci gente che ama faticare ma non credo di essere stato il solo ad aver fatto pensieri simili.
Grazie a tutti gli amici del Trail dei Monti Simbruini avete fatto ripartire un evento unico nel centro Italia, meritate tutto il nostro sostegno fino alla prossima edizione.