Scricchiolii, cigolii, tonfi.
E quella porta che sbatte, con un certo ritmo, una volta forte e una volta piano.
E il gracchiare del VHF.
E un altro rollio, un altro scricchiolio lunghissimo, che sembra portare inesorabilmente a un qualche punto di rottura; e SBAM!
Ma è solo quella maledetta porta che sbatte, questa è la volta in cui ha sbattuto forte.
Altro rollio, altro cigolio prolungato, altro lamento di JK Sail.
Sono queste le notti in oceano: lunghissime, nere e piene di rumori.
Luca lo sa, ormai navigano da più di una settimana. Una settimana in cui ci sono solo loro otto, e intorno a loro c’è la sterminata desolazione dell’Oceano Atlantico, grigia di giorno e nera di notte.
E JK Sail, la barca di cui è skipper, rappresenta tutto il loro mondo: la loro casa, il loro mezzo di trasporto, la loro fonte di calore, acqua, cibo, protezione: pochi centimetri di vertoresina che sono tutto quello che li separa dalle acque nere e gelide dell’oceano, pochi centimetri di vetroresina che dividono l’aria dall’acqua, i marinai dai naufraghi, la vita dalla morte.
E sbam! Ma questa è la volta in cui la porta sbatte piano.
E JK geme, sembra sempre sul punto di cedere, ma resiste.
Ci sono notti in cui sei al timone, e pensi alla rotta, alle vele, al freddo, alle onde, al meteo, e ai rumori non tanto ci badi.
Ci sono le notti in cui sei sereno (o stanchissimo) e dormi come un sasso. E ti svegli solo quando ti chiamano perché è il tuo turno.
E poi ci sono le notti come quella del primo dicembre 2021, quando sei in pieno oceano con 25 nodi al lasco, onde di quattro metri, e due mani di terzaroli, e non c’è neanche la luna. In notti come queste i pensieri sono foschi e si confondono con gli incubi, e pensi a tutte le cose che possono andare storte, che sei in mezzo al nulla, lontano da qualunque possibilità di aiuto, e ogni cigolio sembra preannunciare un cedimento, e invece di dormire pensi a cosa dovrai fare per far fronte all’emergenza che sta inevitabilmente per presentarsi.
SBAM!
Ancora quella dannatissima porta.
Luca sta quasi decidendosi a lasciare il calore della coperta per alzarsi e andare a bloccarla, quando al solito cigolio dello scafo che si sente con la discesa dall’onda, si sovrappone il crepitio del VHF con una voce lontana e un po’ metallica che pronuncia parole surreali, provenienti da un altro mondo: “Mayday, Mayday, Mayday, Yachting Charlotte. Over”
Luca non ci crede.
Per un attimo pensa che sia stato un incubo, un prodotto della sua mente affaticata dalla responsabilità del comando in una notte così nera.
La radio tace.
“Ma vedi che cazzo di sogno” pensa per un attimo, “ e poi che razza di nome Charlotte”. Tira un sospiro, chiude gli occhi e gli scappa un sorriso rassicurato. Forse ora potrà finalmente prendere sonno.
Ma il VHF crepita ancora:
“Mayday, Mayday, Mayday, Yachting Charlotte. Over”
(continua)
#StorieDaCaffè