Una delle domande che mi fanno più spesso è: “ma come ti passano due ore di corsa da sola? ma perchè non vai in gruppo?”
Mi viene in mente una puntata di Sex and the City in cui Carrie rimasta sola alla domanda delle amiche “con chi esci stasera? risponde candidamente: “esco con la città, esco con New York“.
Ecco, la risposta esatta potrebbe anche essere questa: “vado a correre CON Roma” e non per le strade di Roma.
Perchè allenarsi insieme, in gruppo, quando devi fare dei lavori, devi girare su una pista da 400 metri come un piccolo criceto, ecco lì forse ha un senso, ma la distanza rappresenta per me uno psicoterapeuta a costo zero, rappresenta un balsamo in crema per i nodi dell’anima, una torcia luminosa per le cavità oscure che hanno scavato le emozioni, una specie di prozac in formato “fiato” da respirare tutto, a pieni polmoni.
Oh la distanza rappresenta per me un amico immaginario, che mi corre accanto, dentro, sopra e sotto, vestito di nero, bianco, fucsia fluorescente, un amico dai mille volti a cui in qualche modo riesco a raccontare tutto senza filtri di sorta, senza temere giudizi, senza paura di sentirmi dire cose che non voglio sentirmi dire.
Macino chilometri, il tempo scorre, non vedo neanche a quanto li sto facendo, forse sto andando troppo forte, forse, ma chi se ne frega.
Macino chilometri, batto il cinque ad altri podisti sconosciuti che per una frazione di secondo sono fratelli gemelli di sudore e sensazioni, sorrido, a volte piango, certe volte mi ritrovo a canticchiare senza rendermene conto in una sorta di breathe test musicale, spostando il limite in avanti inconsapevolmente.
Macino chilometri in uno spazio sospeso, ciò che conta è il cielo sopra di me, l’asfalto bucato e non che vedo davanti ai miei occhi, l’immensità di questa città e il Tevere, una volta biondo, ora verde “JeegRobotdacciaio“, che sta sempre li e scorre, come se niente fosse.
E mentre macino e i murales scorrono e li vedo con la coda dell’occhio, e l’asfalto varia in base ai rattoppi, e mentre macino e corro c’è Lou Reed in cuffia che mi porta sul suo Satellite of Love e le canzoni assumono sempre significati diversi e nuovi mentre corri, ti ritrovi su delle strade sconosciute anche se le fai ogni santo e benedetto giorno, mandi un attimo indietro il brano, senti di nuovo quel riff di chitarra, vedi scorrere la tua giornata di ieri come il trailer di un film, metti bene a fuoco, cose, persone, emozioni.
Tutto diventa più chiaro.
La rabbia si dirada come fosse nebbia.
I sentimenti escono fuori nudi e crudi esattamente come quel doloretto al polpaccio al 19 km.
Arriva l’odore di gelsomino all’improvviso e sai che qualcuno sta guidando i tuoi passi, sei stanco ma non ti fermi, ancora un po’, ancora un altro po’ in questa dimensione parallela senza telefono e senza whatsapp e senza nessuno che parla se non tu con i tuoi fantasmi, amici, musicisti.
Sono passate due ore, hai finito, ma inzia streets… sono 5′ 35” di brano, non mi faranno male cinque minuti e trentacinque secondi con Paul Hewson... in fondo I want to run, I want to hide, I want to tear down the walls That hold me inside.
Quando mi chiederanno perchè corro da sola risponderò: “sola io? ne siete proprio sicuri?”
The loneliness of the long distance runner.
Foto in evidenza : Gianfranco Bartolini