L’episodio che il 10 maggio scorso ha visto coinvolto Sergio Giorgi, papà della tennista Camila, nel primo turno degli Internazionali d’Italia, ha fatto tornare in primo piano il ruolo dei genitori nella vita sportiva dei figli.
Le sue vibranti proteste dalle tribune del Centrale hanno spinto la giudice di sedia, Morgane Lara, a chiedere aiuto attraverso la sua radiotrasmittente: “Rimanete nei paraggi perché il padre di Giorgi è furioso”.
Sergio Giorgi è noto per il suo carattere aspro e sanguigno. “Diventerà la numero uno al mondo” aveva dichiarato quando ancora Camila aveva 14 anni e già iniziava ad affacciarsi nel circuito professionistico.
La sua forza e la sua caparbietà a bordo campo nascono da una vita non facile fin dai tempi in cui viveva in Argentina; Giorgi ha combattuto nella guerra delle Malvinas e ha subìto la perdita prematura della sorella di Camila.
Da qui non è difficile comprendere il bisogno di un iper controllo sulla vita della figlia.
È di questi giorni un articolo pubblicato su storiecorrenti in cui si analizza l’educazione sportiva. L’istruttrice Barbara Recine riporta la sua esperienza a bordo vasca con i ragazzi e le famiglie.
In tanti anni di carriera posso dire che il mio lavoro è ancora più formativo quando riesco a lavorare anche sui genitori che mi affidano il proprio figlio, per “EDUCARLI” in una disciplina sportiva.
Sì, perché il concetto di educazione fisica dovrebbe essere allargato a tutto il nucleo familiare.
Il rapporto padre – figlio nello sport è narrato benissimo nella storia di Andre Agassi raccontata nel libro Open.
L’autobiografia pubblicata nel 2011 da Einaudi nella collana “Stile Libero” è stata scritta con il contribuito in J. R. Moehringer, giornalista premio Pulitzer.
Nel romanzo di una vita, paragonabile ad una seduta di analisi pubblica, il campione si mette a nudo a partire dal rapporto con il “padre orco”, pieno di amore autistico e violenza esistenziale.
Racconta della macchina spara-palle chiamata drago che Andre, già da piccolissimo, era costretto ad affrontare. E non poteva dire di no, perché quando il padre si arrabbiava succedevano cose brutte: “Se lui dice che giocherò a tennis, che diventerò il numero uno, quello è il mio destino, tutto ciò che posso fare è annuire e obbedire”.
Il tennis è uno sport così maledettamente solitario, racconta Agassi, ed è proprio nella solitudine che spesso i campioni trovano rifugio quando stanno in casa. Ci sono stati tanti padri a bordo campo di grandi campioni, genitori a volte anche poco competenti: basti pensare a Capriati, Seles, Pierce, Williams, Dokic, Graf.
Oggi il tema della fuga dalla fatica, come reazione a figure che impongono scelte non condivise, necessita di strumenti a disposizione degli allenatori per non perdere il passo dei loro ragazzi. Come ci ha raccontato Daniele Masala –
Le famiglie sono la leva necessaria; in particolare, poi, dove ci sono situazioni di distacco dallo sport, dove non c’è cultura dello sport, è allora necessario lavorare anche sui genitori. La situazione è più delicata e soprattutto lunga.
Andrea Masciaga è un amico di storiecorrenti e ha scritto un libro che si intitola “CI ALLENIAMO ANCHE SE PIOVE?” . Un lavoro bellissimo che racconta miserie e splendori del gioco del calcio.
C’è una dichiarazione che fa un figlio ad un padre invadente e ve la riportiamo per intero:
“PAPÀ OGGI MI HAI FATTO VERGOGNARE”
Perché lo hai fatto papà? Io volevo solo giocare, divertirmi. Tu invece hai rovinato tutto. E sai come? Con le tue urla dalla tribuna. Con le tue discussioni con gli altri genitori. Con il tuo “mio figlio è più bravo!”. Con il tuo arrampicarti sulla rete per fare il presuntuoso. Con la tua discussione con l’allenatore a fine partita.
A me non interessa, papà. IO VOGLIO DIVERTIRMI. Smettila di strillare più del mister. Smettila di prendere tutto come una guerra. Vieni al campo, siediti e fai il tifo.
Guarda la partita, chiacchiera, divertiti anche tu. Ma lasciami giocare in pace.