Omar Di Felice un 2021 verso scenari nuovi con tutta la speranza di un campione

Omar Di Felice è un ultracylcer, un atleta che pedala percorrendo distanze incredibili in situazioni climatiche a volte proibitive. Ha preso parte a tantissime competizioni UltraCycling. Nella sua carriera ha pedalato su distanze per noi difficili anche solo da pensare.

In Alaska, a Capo Nord in Back to the Arctic” del 2016, in Islanda, Paris-Rome nonstop challenge, sulle Alpi, da costa a costa degli USA ma è il freddo la sua specialità, un nemico che sa gestire.

In questa intervista parliamo come ha affrontato il 2020. Quante avversità e opportunità si sono presentate e come ha fatto ritorno dalla Mongolia nel Deserto del Gobi.

Come è trascorso il tuo anno?

Il 2020 è stato un anno difficile credo sia sotto gli occhi di tutti ciò che il mondo ci ha trovato a dover affrontare (e di cui, in parte, continueremo a viverne gli effetti ancora per molto) ma non sarei onesto se lo definissi un anno negativo, tutt’altro.

Il bilancio è stato del tutto positivo: nonostante la pandemia (o forse proprio anche in virtù della stessa, in alcuni momenti) sono riuscito a realizzare tutti i progetti che mi ero prefissato nonostante un brutto incidente (sono stato investito alla partenza per la Mongolia) abbia messo a rischio già da subito il mio 2020.

…Omar è tutto questo e tanto altro.

Quali rinunce dal punto di vista sportivo?

Il momento più difficile è stato quello in cui, a causa del lockdown, sono rimasto bloccato senza possibilità di rientrare in Italia entro i tempi che avevo previsto. Ma questo mi ha offerto la possibilità di continuare a esplorare ancora più approfonditamente un Paese, la Mongolia, nonostante avessi portato a termine la mia avventura nel Deserto del Gobi.

Per il resto è stato sufficiente adattare i programmi al mutare delle condizioni e delle restrizioni: la flessibilità mi ha permesso di poter comunque portare a termine il calendario delle competizioni di Ultracycling.

Ci sono state delle opportunità?

Alla riapertura dei confini nazionali il mio primo pensiero è stato quello di “ripartire” facendo qualcosa che, simbolicamente, desse nuovamente il via verso un ritorno alla normalità. Ed ecco allora che, proprio grazie a questa difficoltà apparente, ho potuto rispolverare un progetto che dormiva nel cassetto dei miei sogni, quello, cioè di una lunga traversata in stile Ultracycling lungo la linea di confine scalando tutte le vette alpine, da Trieste a Ventimiglia. Una lunghissima occasione per pedalare sulle strade cui sono più affezionato incontrando piu o meno virtualmente i tanti fan che mi hanno seguito attraverso il diario sui miei social network e realmente, scendendo in strada per il supporto fisico grazie all’app di tracciamento live ENDU che utilizzo durante le mie avventure.

Dove sei stato e cosa hai esplorato?

La Mongolia e il Deserto del Gobi sono stati l’avventura clou del mio 2020. Aver attraversato in inverno il luogo che lo stesso Messner aveva definito “impossibile” nella stagione più fredda è stata un’esperienza unica. Averlo fatto durante il momento delicato che stavamo vivendo, un modo simbolico per lasciare alle spalle le difficoltà.

Come ti sei allenato? 

Gli allenamenti seguono sempre un copione collaudato durante gli anni di Ultracycling sin qui trascorsi: un periodo di allenamenti specifici volti a migliorare alcune qualità cui fa seguito un momento, di solito a ridosso della partenza dell’avventura, in cui cerco di replicare le condizioni che dovrò affrontare sintetizzandone gli elementi chiave come freddo, privazione del sonno o scarsa possibilità di reperire acqua e cibo. Tutti fattori, questi ultimi, che mettono a dura prova la resistenza mentale durante challenge in cui già il fisico è fortemente sotto stress

Che strade nuove hai immaginato una volta finito tutto questo casino?

Viaggiare è abbastanza complicato ma, per fortuna, per chi come me lo fa di lavoro, gli spostamenti sono consentiti seppur a patto di forti restrizioni e alcune attenzioni particolari.

Per questo sto organizzando una lunga esplorazione invernale: come per il Deserto del Gobi, metterò le ruote su un terreno “inusuale” per una bici in inverno, ma sarà una sfida che mi proietterà verso scenari nuovi a cui non sono abituato, non completamente almeno.

Presto potrò svelarne i dettagli ma la partenza dovrebbe essere entro la prima metà di febbraio.

Poi un argomento a me caro, pedalare o comunque fare sport con il freddo, c’è un segreto per non sentirlo?  o come dicono i norvegesi dipende tutto da una buona dotazione 

Molti sono convinti che io non percepisca il freddo. In realtà lo sento (e talvolta lo soffro) esattamente come chiunque altro decida di mettersi in bici con temperature abbondantemente sotto lo zero. Ciò che cambia è senz’altro l’approccio mentale: il mio amore per il freddo mi aiuta ad affrontarne le conseguenze e ad avere sempre un atteggiamento positivo. Ovviamente bisogna dotarsi dei giusti capi di abbigliamento. In ciò la tecnologia ormai ci viene a supporto anche se, la cara vecchia regola basilare è quella dell’isolamento del primo strato della pelle e, per questo, utilizzo intimo in lana merino, nonché sottoguanti e calze dello stesso materiale.

 

Marco Raffaelli
Appassionato dello sport e di tutte le storie ad esso legate. Maratoneta ormai in pensione continua a correre nuotare pedalare parlare e scrivere spesso il tutto in ordine sparso