Negli anni in cui molti di noi gridavano il loro primo vagito al mondo, ignari del significato di parole come discriminazione sessuale, emancipazione femminile, parità di genere, una storica partita di tennis si tenne sui campi dello Houston Astrodome, in Texas, USA.
Nel settembre del 1973 per l’esattezza, la numero 2 al mondo, Billie Jean King e l’ex campione del mondo Bobby Riggs, si sfidarono a colpi di racchetta.
In gioco c’era molto di più che la semplice vittoria della partita: c’era la rabbia di una grande campionessa che voleva dimostrare al mondo che le donne non erano inferiori agli uomini, a cominciare da un campo da tennis!
Per tale ragione, affermava, dovevano essere riconosciuti a tutte le ragazze del pianeta, gli stessi diritti di cui gli uomini godevano da sempre e viva Dio, aveva solo una racchetta per dimostrarlo…
La King stava già lottando contro la federazione tennistica che aveva assunto atteggiamenti discriminatori nei confronti del tennis femminile, tanto da convincere la campionessa a fondare la WTA, Women’s Tennis Association.
La nostra coraggiosa Billie voleva ottenere che il tennis femminile fosse riconosciuto come professionistico e che, aspetto niente affatto secondario, ci fosse una parità dei premi in denaro tra i tornei femminili e quelli maschili.
Riggs nel contempo andava affermando, con modi piuttosto teatrali e sbruffoni, che avrebbe potuto battere qualsiasi tennista donna esistente.
Il clima era rovente e la partita divenne un caso mediatico di proporzioni mondiali, come raccontano i registi Jonathan Dayton e Valerie Faris nel film del 2017, molto ben interpretato dagli attori Emma Stone e Steve Carell, e trasmesso poche notti addietro da Rai Tre.
Alla seconda chiamata Billie accettò la sfida e dopo un’entrata in campo a dir poco bizzarra dei due giocatori (Riggs arrivò in campo su un carro trainato da modelle, regalando alla King un lecca lecca; Billie invece giunse su una portantina zeppa di piume rosa) la partita ebbe inizio, rivelandosi da subito come una vera sorpresa: Riggs era visibilmente indietro sia a livello atletico, sia a livello tecnico.
Billie non ebbe pietà e con un “serve and volley” senza pause, con volée, demi volée e smash impareggiabili, accompagnò l’avversario verso la sconfitta, infliggendogli un 6/4 6/3 6/3 che non poté lasciare alcun dubbio: eh si, le donne, signori,giocavano a tennis e lo facevano così bene da battere persino gli uomini.
E fu gioia, festa, rivoluzione, quella rivoluzione sociale che molto spesso si è giocata negli stadi degli sport più disparati.
Perché è li, nelle piste di atletica, nei campi da tennis, nelle partite di baseball, sulle cime delle montagne o in fondo alle profondità dell’oceano, in una palla tra i piedi, o tra le mani, è lì ovunque lo sport sia protagonista che si aprono gli scenari per affermare i diritti umani, i diritti civili, le nostre libertà fondamentali.
E’ li che lo sport si fa grande, immenso direi:
detta le regole senza barriere e senza eccezioni, insegna il rispetto dell’avversario e della diversità annientando il disprezzo, promuove la competizione e al contempo la compassione, invita all’amore per la vita e per tutte le vite, in uno spazio mentale che non ha riserve.
Billie divenne un’icona e sulla scia di un coraggio che non l’ha mai abbandonata fu la prima atleta a dichiararsi pubblicamente lesbica nel 1981.
E mentre cala il sipario su questa entusiasmante storia, sorrido e brindo allo sport e ai suoi insegnamenti, certa che finché potremo praticarlo, non dimenticheremo mai il valore della libertà e della fratellanza.
Vado a correre
Viva lo sport, sempre!
Chiara Agata Scardaci