Fino a quel giorno in cui vidi quel cartello colorato dietro la cassa del negozio di articoli sportivi, non sapevo nemmeno chi eri. La curiosità mi spinse a cercare notizie su di te.
Miguel Sanchez era un poeta e podista sudamericano, desaparecido durante il regime di Videla in Argentina. “per te atleta che disprezzi la guerra e sogni la pace”, probabilmente sono queste le parole che ti sono costate la vita.
Un uomo i cui scritti parlano dello stato di grazia in cui noi amiamo tuffarci quando ci cimentiamo in una corsa. Un uomo che amava correre.
Un uomo che correndo trovava la pace. Non è forse questo quello a cui noi aspiriamo quando corriamo?Trovare la pace con noi stessi. E’ tutto bellissimo, ma io non ne sapevo nulla, erano 10 km veloci e io non vedevo l’ora di attaccare di nuovo il pettorale con il numero alla maglietta.
Ero in quella meravigliosa frenesia che si prova alle prime gare, quella esaltazione da maglietta nuova che è una attestazione di presenza, io c’ero, io ho corso per 10km, guardate quanto sono brava.
Ero appena all’inizio, la mia amica, quella con cui mi tuffavo a pesce in tutte le gare che riuscivo a trovare, mi aveva dato buca quella mattina, ed ero sola, per la prima volta. Cercavo volontari per accompagnarmi e ne trovai uno in palestra. Pessima scelta.
Dovevo immaginare che dall’alto del suo metro e ottanta con le gambone lunghe che da sole erano un metro abbondante, sarebbe stato difficile da seguire.
Ovviamente avevo il cardiofrequenzimetro scarico e poca scelta se volevo sapere come era andata. Si perché ancora non mi ero iscritta a nessuna società sportiva, ne avevo una runcard. Ero una podista della domenica che stava scoprendo le gare e quindi non competitiva e di conseguenza senza microchip.
La gara è piuttosto semplice, il percorso è piano e nei punti strategici c’è musica. Chi sa se avrei visto quei nuovi ragazzi che avevo conosciuto, quelli che mi avevano dato indicazioni per il loro gazebo che era il punto di ritrovo di tutti. Cercavo tra tutti i gazebo quello giusto, ma non ci capivo nulla.
Ero schiacciata dalla mia timidezza, quella che mi fa sentire sempre la persona sbagliata nel posto sbagliato, quella che mi fa vedere come un Obelix, quella che mi insegue dall’età della ragione. Non li trovai, pensavo che nemmeno si ricordassero di me.
Mi sbagliavo, il giorno stesso, su Facebook, nel gruppo in cui mi avevano invitato, tutti mi chiedevano dove ero finita e come era andata la mia gara. Giusto, dove ero finita e come era andata la mia gara?
Ero finita in mezzo a un mare di gente che non conoscevo, di tutte le età, razze e religioni, tutti con l’obiettivo di stare bene e divertirsi, un puntino in mezzo a tanti altri, un ennesimo “chi me lo ha fatto fare stamattina!”, ero a rincorrere il mio amico con le gambone lunghe che driblava la gente come un calciatore mentre vola verso la porta avversaria, quello che mi aveva detto “tranquilla, la facciamo piano!”
Io ero li con un polmone che mi guardava ansimante dall’asfalto su cui era caduto con un plof!e mi urlava “ma sei scema?!”.
Ho rallentato, era inevitabile, mi sono goduta il paesaggio, la musica, i colori e le battute della gente e più di ogni altra cosa l’arrivo sulla pista dello stadio olimpico. In quel breve lasso di tempo che intercorre tra l’ingresso allo stadio e la pista, al chiuso, sentivo le voci della gente che rimbombavano, il loro canto, le urla liberatorie e ho urlato e cantato anche io, con tutta la timidezza che ho e che mi porto addosso.
All’improvviso la luce, la pista, gli ultimi metri e poi la fine, il traguardo e la voglia di ricominciare una nuova avventura. Il mio amico gambalunga era li ad aspettarmi, diceva che avevo fatto più o meno 56 minuti, ma era un calcolo approssimativo, sulla base del suo arrivo. Non importava più. Ero felice.
Carica di quella euforia che solo le endorfine sono in grado di darti. “Come stai?” “una bomba!” “Daje!” Quindi Miguel, veniamo a noi, sei riuscito nel tuo obiettivo? Io direi di si, in un paio d’anni sono molto cambiata. Mi sono aperta al mondo e alle persone, ho molti amici, l’allegria adulta e il sorriso dei bambini.
E’ come dicevi tu. Corro nella pioggia, col vento o baciata dal sole,corro con il freddo, con il caldo, con gli altri, con me stessa e imbastisco storie che racconto ai miei amici.
Ho cominciato a colorare la mia vita, a cercare sempre il buono, la gioia, l’allegria, la convivialità. Ho cominciato a vivere, aprendo la porta, allacciando le scarpe e andando dove la strada mi porta, senza pensare troppo, senza pormi limiti, inseguendo la libertà.
Non ti conosco abbastanza, ma per quel poco che so di te, posso dire che ci sei riuscito, il tuo messaggio è passato “per te, atleta, che disprezzi la guerra e sogni la pace”.
Ludmilla Sanfelice