Miguel, de triunfos y derrotas

miguel sanchez

Correre una gara è un po’ come fare l’amore. Ogni volta è semprela prima volta. Ma solo alcune prime volte ti lasciano qualcosa e sopravvivono al passare del tempo. Non importa se siano state belle o no, gli attimi vissuti, le emozioni ed i sentimenti che abbiamo provato, resteranno sempre dentro di noi in qualche posto più o meno nascosto della nostra memoria e difficilmente riusciremmo a liberarcene, neppure se lo volessimo.

Quando lo conobbi, un Gennaio non troppo tiepido dei primi anni 2000, non avevo idea di chi fosse Miguel Sanchez, ne avevo mai sentito parlare di quella poesia che riuscì a piegare la violenza e la brutalità della dittatura e che evase dalle sbarre di una delle tante sconosciute prigioni, da qualche parte in Argentina, veloce e leggera come i piedi di colui che la scrisse. Così come ignoravo la sua voglia di correre che univa mondi e persone e lo rendeva un simbolo per i tanti amanti del podismo romano di inizio millennio.

Furono però le parole di un amico, corridore intermittente come me ed anche lui in fuga da Diritto Commerciale e dalla sessione invernale di esami, a convincermi a “fare la Miguel”, con tutto il corredo di suggerimenti su come affrontare la gara, analisi del percorso ed ovviamente tabelle di preparazione alla “Maratona”. Perché per un podista profano, ogni gara più o meno ufficiale con un pettorale attaccato alla maglietta che prenda il via ad un orario ed in un luogo prestabilito, è ovviamente una maratona.

E tra allenamenti quantomeno approssimativi, una scorta di barrette che nemmeno per sopravvivere ad un olocausto nucleare, messaggi motivazionali dove il dolore è temporaneo e l’orgoglio è per sempre ed un look a metà tra un tennista anni 90 (polsino incluso) e Re Riccardo durante le Crociate, arrivò finalmente il grande giorno. Ovviamente la sera prima nessuno dei due chiuse praticamente occhio. Nemmeno avessimo dovuto fare Diritto Commerciale…

E tante furono le cose che vedemmo lungo quei 10 chilometri, che per due come noi sembravano infiniti: la poesia letta prima della partenza, lo sparo, le tante persone unite dalla voglia di correre, divertirsi e stare insieme prima durante e dopo la gara, gli spettatori lungo il percorso che ti facevano sentire una celebrità. Ed ancora, il sonno (tanto), il fatto che quasi nessuno indossasse quella specie di corazza con cui ci eravamo presentati alla partenza, il dolore alle gambe (più del dovuto, provate a correre con quasi un kg di roba addosso) che svanì nell’abbraccio che io ed il mio amico ci scambiammo esausti appena dopo l’arrivo. E quella sensazione di avercela fatta, nonostante tutto. Sì, in qualche modo avevamo vinto anche noi.

Da quel giorno sono passate tante gare, alcune indimenticabili,altre decisamente meno, non mi vesto più come Re Riccardo, ho scoperto con grande stupore che una maratona di solito è più lunga di 10 chilometri e con il mio amico continuiamo ad abbracciarci ogni volta che tagliamo il traguardo.

La Corsa di Miguel nel frattempo ha continuato a crescere ed il suo inno-poesia, “Para vos atleta” ogni anno viene ascoltato da migliaia di persone tra Roma e Buenos Aires.

In tanti l’hanno corsa ed in tanti la correranno, chi per vincerla, chi per fare il “best”, chi giusto per dire di esserci stato. E chi, come quei due ragazzi di qualche anno prima, magari solo per non pensare troppo agli esami. Ci saranno trionfi e sconfitte, gioie e dolori, allegria e tristezza, ognuno la vedrà a modo suo. Perché per citare un noto film, correre a volte è un po’ come la vita, non sempre ci dà le cose come le vorremmo.

L’importante è che ce le dia.

Raniero Spaziani