La tua vita di genitore non sarà più la stessa dal momento in cui il pargolo di casa indosserà la sua prima divisa da calcio.
E non parlo solo di accompagnare e riprenderlo agli allenamenti settimanali, incastrando impegni di lavoro, compiti da anticipare, visite mediche, e un minimo di vita sociale: quello viene messo in preventivo fin da quando si decide – giustamente! – di iscrivere i propri figli a qualsivoglia attività sportiva.
È nei fine settimana però che le famiglie dei piccoli calciatori in erba sono messe davvero a dura prova.
L’incubo inizia il venerdì pomeriggio, quando vengono diramate le convocazioni.
Aspetterai trepidante con lui la convocazione di domenica, al comodo orario delle 13.00, in viale Vattelapesca, che sta all’altro capo della città con l’intero fine settimana sacrificato sull’altare della passione calcistica della creatura. Se gli spostamenti sono impegnativi, una volta sul posto non è detto che ci si possa rilassare.
Che sia il torneo della parrocchia, una partitella amichevole o un decisivo incontro di campionato, pare che si debba giocare in ogni condizione atmosferica, almeno finché il pallone è in grado di rimbalzare sul campo senza essere inghiottito dal fango.
Mentre fuori infuria la bufera, genitore fradicio e intirizzito, sai benissimo che al tuo giovane virgulto dalle ossa sane e forti basterà una doccia calda per tornare come nuovo, mentre tu non ti riprenderai fino al prossimo weekend.
E poi, diciamolo una volta per tutte, non sempre il gioco vale la candela: il calcio segue delle regole spietate e potrebbe capitare che il tuo ragazzo resti a scaldare la panchina per buona parte della partita, mentre tu ti rammarichi per il weekend buttato alle ortiche senza neanche la soddisfazione di vederlo non dico vincere, ma almeno partecipare, con buona pace del Barone de Coubertin.
Insomma, oltre al danno, la beffa. Eppure, qualche volta succede.
Proprio come nella canzone di De Gregori, quando meno te lo aspetti, in un campetto spelacchiato di periferia, succede che lui, il “tuo” Nino mette il cuore nelle scarpe: prende un pallone che sembra stregato, corre più veloce del vento, tira senza guardare e il portiere lo fa passare.
E lo vedi, stavolta lo vedi bene, che vola con le guance accese ad abbracciare i compagni e poi viene di corsa verso di te, si stampa contro la rete di recinzione e ti guarda ridendo con gli occhi che brillano.
In quell’istante a te, genitore innamorato, non importa affatto della vittoria; tu vedi solo il suo piccolo sogno, inseguito con passione e impegno, che per un momento diventa vero ed esplode in quella risata felice.
E capisci che quell’attimo vale il caldo, il freddo, la pioggia e i miracoli organizzativi che ti aspettano al varco, la settimana prossima e le successive, e così via fino alla fine della stagione, quando aspetteremo la prossima giocando a pallone sulla spiaggia, perché la passione non va in vacanza.
Ma poi, la verità è che, se anche quel momento glorioso non dovesse arrivare, a noi non importa: staremo lo stesso lì ad accompagnare, applaudire, incoraggiare o consolare, perché quello in cui crediamo da sempre, e che stiamo insegnando loro, è che non bisogna mai smettere di inseguire i propri sogni.