Stamattina ho aperto gli occhi e come accade da quasi una settimana non avevo nulla di urgente da fare. Ho guardato fuori dalla finestra e c’era un sole stupendo. E’ la beffa di questi giorni, le giornate più belle che io ricordi.
Mi sono alzata, ho preso il telefono e ho visto un invito ad un gruppo che si chiama “andrà tutto bene”. E’ una frase che va molto in questi giorni. Ho accettato.
Il web sta facendo il suo mestiere. Facebook, Skype, Whatsapp e tutti i siti di supermercati che permettono di fare la spesa a domicilio.
La vita passa dal web.
Quello che non possiamo più fare all’aria aperta lo facciamo tramite internet compriamo vestiti, scarpe, tapis roullant, facciamo la spesa e per i più tecnologici ci sono lezioni di yoga, potenziamento, mentre se vi fate un caffè e una crostata, potete chiacchierare amabilmente con un’amica senza vederla o vedendola se vi va di fare una videochiamata.
Leggevo i messaggi su questo nuovo gruppo. Infermieri, medici, camionisti e corrieri sono i veri eroi di questi giorni, è merito loro se molti guariscono e se abbiamo cibo in tavola e medicine.
Tutti uniti in un unico coro a dare coraggio e speranza a chi è chiuso dentro casa e attende la fine dell’incubo.
Andrà tutto bene.
Alcuni lasciano una testimonianza, qualcuno ha perso la madre o il padre, senza poterlo vedere, senza poterlo accudire.
Sembra di essere tornati ai tempi della guerra, quando Radio Londra dava le notizie sull’andamento della guerra e la gente si stringeva compatta per affrontare il momento tragico.
Siamo in un momento tragico. Uno scenario apocalittico da fine del mondo, ma abbiamo strumenti che loro non avevano, abbiamo abiti per coprirci e cibo da mangiare.
Abbiamo modo di comunicare e di scambiarci informazioni, consigli avvertimenti.
Ieri sera ho fatto un test di riunione condominiale su Skype, una mia amica mi ha invitata in un gruppo dove lei, personal trainer, posta esercizi di yoga e potenziamento.
La rete si sta muovendo, la gente si sta muovendo.
L’aggressività che regnava sovrana nei giorni scorsi, piano piano lascia il posto alla speranza, alla collaborazione, al mutuo soccorso.
Tutto il nostro mondo è stato rovesciato, tutto quello che davamo per scontato, di fatto è cambiato, forse per sempre.
Pensavamo che il massimo della tragedia a cui potevamo essere sottoposti era l’attentato delle torri gemelle, pensavamo che niente come l’uomo poteva fare male all’uomo e invece ci ha pensato la vita a farci ritrovare il filo che avevamo perduto.
Vagavamo come automi nella rete, odiando, spandendo ai quattro venti rancori e rabbia, così assuefatti agli abbracci e ai baci che avevano perso il loro significato, che non avevano più gusto.
Poi un giorno ci svegliamo e ci troviamo di fronte alla privazione. Ci viene tolto il nostro spazio, il nostro tempo, la gioia di una passeggiata e quegli abbracci e baci che non sapevano più di niente, che erano diventati in una parola scontati.
La cosa più paradossale è che non è stato un uomo, ovviamente inteso come essere umano, a toglierci la libertà, è stata la terra, la vita, la madre di tutte le madri, la regina dell’equilibrio.
Oggi questa malattia può averci tolto degli affetti, ma ci ha anche indotti a proteggere i nostri cari, ad aver cura della nostra igiene, a desiderare un bacio, quel bacio che alla fine del tunnel sarà meraviglioso.
Molti di noi runners si aggrappano a quel filo sottile che ci permette ancora di andare sotto casa a correre, se si rendesse necessario correremmo anche intorno al palazzo, probabilmente correremmo anche la 5km di Monculi Val di Chiappe se fosse permesso e senza rischi sono per amore di un pettorale.
Quel pettorale che è come un bacio ora che lo desideriamo tanto.
Ieri ho corso, praticamente ho girato intorno al palazzo, l’aria era tiepida e c’era un sole meraviglioso, una temperatura perfetta.
Ho corso scansando le persone, attraversando la strada ogni volta che incontravo qualcuno, con le gambe che volevano andare, con il fiato che le seguiva, con il cervello che mi chiedeva “Ma che cazzo stai facendo?e se fossi già ammalata e non lo sai?e se la distanza non fosse abbastanza?”.
Non ero serena, non mi sono liberata la mente come volevo.
Non mi va di ricordare i giorni passati in cui correvo spensierata, voglio pensare al domani, voglio pensare al giorno in cui questo manto di oscurità che ho sulle spalle sarà finalmente svanito, voglio pensare a riprendermi i baci, gli abbracci, il sole, il sudore e il fiatone mentre cerco di andare più veloce che posso, mentre uso tutte le mie energie, mentre do tutto il mio meglio per rispettare questa mia grande amica.
La corsa.
Lei che mi ha salvata quando tutto andava storto, che mi ha portata per mano fuori dal tunnel della mia vita a metà, lei che mi ha fatto sentire che ero ancora viva, lei che è per me una alleata sempre e comunque.
Stamattina ho portato giù il cane. La strada era vuota. Due signore chiacchieravano amabilmente dalla strada al balcone. Sentivo gli uccellini e pensavo.
Pensavo che in fondo, questa malattia che ci ha tolto cari, amici, maestri, ci ha dato una nuova possibilità, ha fermato il nostro tempo frenetico, la fretta di fare cose, di essere multitasking e lo ha trasformato in un tempo antico, più vivibile, a dimensione umana.
Ci ha avvicinati, ci ha fatto cantare l’inno nazionale in balcone.
Attendiamo la fine, quando come dei sopravvissuti usciremo dalle nostre case e cercheremo di ricreare una normalità, molto diversa da quella precedente.
A dimensione umana.
Ludmilla Sanfelice