Quello appena trascorso è stato un fine settimana all’insegna della storia del cinema italiano.
Dopo aver atteso qualche settimana dalla prenotazione finalmente, con il mio amico Elvio siamo andati a visitare la casa museo di Alberto Sordi.
Era il regalo per i suoi 50 anni, compiuti a fine agosto e per un appassionato di cinema come lui è stato un momento davvero speciale da vivere insieme.
Entrare a casa dell’Albertone nazionale, per un romano che da decenni passa sotto le mura della villa tra clacson sirene e macchine nervose, è stata una bella emozione.
In un artificio di classe, spettacolo e cultura si è al cospetto del mondo di un uomo che è stato lo specchio di tante nostre virtù e malefatte.
Torni davanti allo schermo di un cinema come lo abbiamo vissuto noi figli degli anni 70, con la “Storia di un italiano” che la domenica sera, per anni, scandiva il trascorrere del tempo ma fuori dal tempo stesso.
Sì perché era proprio così “un altro film di Alberto sordi alla televisione“ cantava Samuele Bersani nella cronaca della vita di “Chicco e Spillo”, due ragazzini con vite troppo veloci ai margini di una Bologna che non accettava il modello democristiano della messa e delle pastarelle la domenica mattina.
Albertone era esattamente quella vita lì: con la Domenica In di Corrado, il Messaggero fresco di stampa al mattino su cui ha scritto per anni, barba e capelli fatti in casa nella sua Barberia personale, giacca di gabardine, Andreotti, la messa e la Roma in tv.
Piccolo mondo antico che ha fatto da sfondo rassicurante, un porto sicuro anche di chi, come lui, aveva il potere di esigere tutto dalla vita.
Casa di Alberto sordi è un museo ma lo era già in vita dell’attore.
Castello isolato su uno degli incroci più trafficati della città in cui all’interno c’era una pedante convivenza con due sorelle e il maggiordomo che regolavano parte della vita dell’attore fino alla morte di Savina nel 1972 .
Da quel momento la chiusura totale di casa Sordi che diventa luogo accessibile soltanto per pochi eletti, tra questi Carlo Verdone e i collaboratori più fidati di Alberto.
Un lutto durato fino ai giorni nostri.
Il miracolo è quel luogo inaccessibile che diventa un posto in cui poter fermare il tempo varcando la soglia di una casa in cui mai avremmo sognato di entrare.
Complice una Roma al suo meglio, l’emozione consapevole di un momento indimenticabile visibile sulle facce di chi ordinatamente si mette in fila e apprezza anche le attese per passare da una stanza all’altra, quasi fosse meglio entrare in punta di piedi, col rispetto dovuto a chi ha sognato una situazione e finalmente si trova a viverla.
E la fortuna di incontrare chi ha vissuto accanto a lui negli ultimi anni e che per Alberto ha una sola
parola: generoso.
Una generosità che ha raccontato quella di migliaia di italiani, attori e spettatori di un secolo indimenticabile.