Scuola, settembre ‘24: quando un divieto diventa un’oasi

Inizia un anno scolastico, con problemi annosi (il reclutamento, i docenti che tardano ad arrivare in classe) e prospettive di futuro, un quadro con parecchi chiaroscuri che va decodificato con qualche riflessione meno superficiale di un titolo da web.

Alcune sclerosi del mondo della scuola sembrano irrisolvibili, prima fra tutti quella di non riuscire ad avere dal primo giorno di lezioni tutti gli insegnanti in cattedra. Inizierà un balletto che troverà una stasi ad autunno inoltrato, tra mancate immissioni in ruolo, algoritmi impazziti, precari storici, che arrivano ad incontrare gli alunni demotivati i primi quanto i secondi, con disaffezioni e cinismi che proprio poco si confanno al pianeta dell’apprendimento.

Ma rispetto a qualcosa che è sempre uguale a sé stesso, ci sono elementi di novità che meritano una serie di considerazioni: diventa legge l’impossibilità dell’uso del cellulare fino alla secondaria di primo grado. Era ora, diranno molti. E’ una norma che va contro il progresso, diranno altri. Facciamo attenzione: il cellulare in classe, purtroppo assai in uso soprattutto alla secondaria di secondo grado, è indubbiamente elemento di distrazione dalle lezioni, e fin qui siamo nel territorio del lapalissiano.

I contrari, però, tuonano: ma è un dispositivo che veniva pedissequamente usato in talune attività, prima fra tutte quelle della gamification, con efficacia e invadendo di modelli alti e pieni di contenuti un cellulare altrimenti solo usato, con scarsa versatilità, per social e simili.

Hanno ragione entrambi, ma la partita si gioca altrove e cioè su un’urgenza che probabilmente sta venendo fuori in tutta la sua gravità: finché avremo genitori che metteranno nelle mani di bimbi da passeggino i propri dispositivi per distrarli, farli divertire, fare una passeggiata in santa pace ( i loro occhi sulle vetrine, quelli dell’infante sul piccolo schermo… ), siamo destinati ad un mondo di dipendenti, privi di immaginazione, iperstimolati, iperconnessi, incapaci di relazionarsi in modo giusto con i pari e con il proprio sviluppo personale, inadatti a qualsiasi attesa, procedimento logico complesso, privi di concentrazione trattenuta e tempi attentivi decenti.

E sarà sempre peggio. In gioco c’è davvero tanto: questi ragazzi, e non stiamo ancora vedendo gli effetti di quelli che giocano al cellulare sin da quando sono sul passeggino, devono affrontare, nell’età evolutiva, nell’età ingrata dell’adolescenza, non solo il proprio difficile sviluppo reale, la frustrazione di non essere più bambini ma di essere ancora lontani dall’età adulta che vanno scimmiottando, chissà perché, da quando iniziano a gattonare, non solo questo, ma anche la propria reputazione virtuale in un basso continuo di notifiche e reel, di stories e stati che qualsiasi “altra” attività diventa un’interruzione della prima.

Siamo arrivati a questo punto. Provate ad entrare nella camera di un figlio sedicenne e a dirgli una frase bella, media o brutta. Il risultato sarà solo quello di una reazione ad un’invasione, la nostra, di un tempospazio fluido e continuato, in cui gli occhi non si muovono dallo schermo e non c’è alcuna comprensione di quel che viene detto, perché si assorbe soltanto il fastidio di una distrazione dal loro “respiratore”. Trattasi proprio di questo, un “respiratore” che fa convivere la doppiezza reale / virtuale.

La scuola fa bene a imporre questo divieto e non è questione di distrarsi o non distrarsi dalle lezioni o di trovare strategie diverse per farli giocare, qui è in gioco la serenità pre adolescenziale e adolescenziale.

La scuola sta regalando loro un’oasi di pace in cui possono “staccare la spina dal respiratore” e provare a farcela da soli, senza notifiche, senza stress di verificare i like, o di non aver visto l’ultimo reel o di non aver condiviso la story propria o di qualcun altro. Non è affatto poco, è tantissimo.

Sapere che spegneranno il telefono alle 8 e lo riaccenderanno alle 14 è la più bella notizia che potesse provenirci dal mondo della scuola. Un’altra, l’ultima, non è proprio una notizia, ma una tendenza che potrebbe diventare liberatoria: parecchie scuole stanno scegliendo di oscurare i voti alle famiglie sul registro elettronico.

Si libererebbero i genitori dal decodificare numeri, solitamente isolati come performance, che non hanno le competenze di interpretare, provocando i primi episodi di quell’ansia da prestazione che accompagnerà i ragazzi nel percorso della scuola superiore, dove, ormai, gli alunni che soffrono di disturbi legati a questo fattore non si contano più, esattamente il contrario di quel che dovrebbe avvenire in uno sviluppo naturale nell’età evolutiva.

Altro effetto di quel “basso continuo” che il mondo iperconnesso ci sta regalando, consegnandoci, alunni, docenti e genitori, ad uno stress sempiterno.

 

 

Elvio Calderoni
Ho vissuto senza sport per i miei primi 40 anni. Adesso diciamo che sto recuperando, dato che ho un sacco di muscoli e fiato ancora nel cellophane. Cultore della parola detta e scritta, malato di cinema, di musica, di storie. Correnti, già corse e da correre.