Roma a settembre: Luca Marinelli, Matteo Berrettini e i tramonti

Roma più che spogliata, Roma ammazzata da millenni di malcostume, odori nauseabondi, sporcizie morali e tangibili, impossibilità di usare i mezzi pubblici ( “eh, a Milano stanno avanti di mezzo secolo” ), ma anche i mezzi privati ( “ad agosto fa caldo ma almeno non giro un’ora sotto casa per parcheggiare” ),  governanti incerti o improponibili, incendi ( da Nerone ai rom ) e scandali, mazzette, suburre, apocalissi scritte e girate, vere e presunte, insomma… Roma.

Ma ecco che il bellissimo, che è sempre dietro l’angolo, impazza, irrompe alla ribalta mondiale.

E Roma rivive.

Tre spettacoli:

Luca Marinelli, Matteo Berrettini e i tramonti.

Inizia settembre e Roma ce la fa.

Luca Marinelli.

Un talento certo da più di una stagione. Una serie che sembra inarrestabile di successi e consensi : gli anni ’10 sono stati i suoi anni, da quando, cioè, ha cominciato con LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI per continuare con NON ESSERE CATTIVO e, soprattutto, con LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT.

Ma gli mancava un riconoscimento ufficiale internazionale, nonché un plauso più generale dal pubblico. Sembra che tutto ciò stia arrivando con MARTIN EDEN di Pietro Marcello con il quale Luca si è aggiudicato proprio a inizio settembre la Coppa Volpi alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.

Un premio sacrosanto per un’interpretazione che colora il film del documentarista casertano, già pieno di frecce al suo arco: una messinscena composita, che si permette di mescolare materiale di repertorio ( ricreato ), bianco e nero a colore, Debussy a Teresa De Sio, colori tenui a tonalità più accese man mano che l’apologo di Martin Eden ( andrebbe studiato nelle scuole di cinema il grado di infedeltà totale di Pietro Marcello nei confronti del romanzo di Jack London da cui è assai liberamente tratto ) va avanti e lo spettatore si innamora di questo giovane napoletano strangolato dall’ambizione, dalla voglia di riscatto, dall’amore stesso, dal senso di inadeguatezza che lo porta ad una sorta di autodistruzione, dopo aver raggiunto la notorietà dal nulla.

Un personaggio che parla con gli occhi, che invecchia di sigarette e cinismo, di scomodità crudeli, e che sembra tradire sé stesso. Un capolavoro di spessore in cui non capita mai di guardare il telefono per tutta la durata del film ( circa 130 minuti ) e in tempi come questi non guardare il telefono per un film intero è un miracolo che capita assai raramente.

Raramente, appunto.

Il tennis italiano, si sa, è raramente approdato ai primi posti dell’ATP.

A noi non sono toccate in sorte nottate adrenaliniche a sfidare il fuso orario per godersi una semifinale di un grande Slam.

Solo ricordi di quando eravamo piccoli o piccolissimi con gli echi di nomi come Panatta, Barazzutti, Bertolucci.

Ok, ultimamente qualche nome ( ed era dai tempi di Paolo Canè che forse brillava in personalità ma non certo in continuità ) ha fatto capolino ai vertici dell’ATP: Seppi, Cecchinato e Fognini.

Ma un paio di nottate in questo inizio di settembre le abbiamo fatte: Matteo Berrettini, romano del 1996, è arrivato in semifinale a Flushing Meadows con un quarto di finale dove ha battuto GaelMonfils in un testa a testa pieno di colpi di scena e di capovolgimenti di fronte. Matteo sorride spesso, trasuda ironia e grinta, è il volto che il tennis italiano aspettava da quarant’anni.

Uno in cui l’uomo comune può riconoscersi ( sebbene sia alto due metri meno 4 cm ) e addirittura tifare per il suo successo. Strapparlo, insieme a lui, con le unghie e con i denti, arrivando ad odiare i suoi avversari. Chi ha visto il match contro Monfils non ha potuto non odiare il francese ogni volta che pretendeva che il pubblico lo applaudisse o quando sparava degli aces micidiali e imprendibili.

E chi ha avuto il coraggio ( perché di coraggio si è trattato dato il fiato sospeso fino alla fine ) di arrivare all’ultimo, decisivo, tie break del quinto set è stato ripagato da un livello di tennis altissimo, emozionato ed avvincente.

NEW YORK, NEW YORK – SEPTEMBER 04: Matteo Berrettini of Italy celebrates a point during his Men’s Singles quarterfinal match against Gael Monfils of France on day ten of the 2019 US Open at the USTA Billie Jean King National Tennis Center on September 04, 2019 in the Queens borough of New York City. (Photo by Clive Brunskill/Getty Images)

La semifinale, dopo un primo set in cui Berrettini ha giocato alla pari con Nadal, facendogli un flashforward di un futuro assai prossimo, è andata come è andata e alzi la mano, anche tra i fan dello spagnolo, chi non lo ha maledetto quando ha portato in campo, dopo lo smarrimento iniziale dovuto a un Berrettini che cominciava ad essere davvero temibile, il suo miglior tennis, crudo e crudele.

E Roma, grazie a questi due ragazzi, Luca e Matteo, torna a sognare in giro per il mondo.

Un mondo pieno dei suoi tramonti, che rimbalzano da una pagina Instagram all’altra e che solo il settembre della città eterna sa creare.

Passeggia, guarda il cielo, che tu sia a Laurentino 38 o a Pinciana / Parioli, verso le 19 da oggi alla fine del mese e ti accorgerai cosa vuol dire respirare in una città eterna.

  • Hashtag: #aromaitramontilifamocosi

Elvio Calderoni

 

Elvio Calderoni
Ho vissuto senza sport per i miei primi 40 anni. Adesso diciamo che sto recuperando, dato che ho un sacco di muscoli e fiato ancora nel cellophane. Cultore della parola detta e scritta, malato di cinema, di musica, di storie. Correnti, già corse e da correre.