Irene vive con Carlotta in un appartamento di un palazzone in un quartiere a nord di Roma. Ci tiene molto alla sua camera e la cura con attenzioni e ordine. Condivide speranze e ricordi con piccoli dipinti fatti di suo pugno, con la matita, su carta e appesi alle pareti. Il suo angolo privilegiato è in una libreria bianca dove raccoglie un archivio di foto molto bello. Irene ha la passione della fotografia, scatta con una reflex analogica e stampa ancora in camera oscura.
E’ lunedì mattina e tra poche ore sarà a lavoro nel negozio di abbigliamento dentro al Centro Commerciale vicino casa. Indossa una maglia colorata e dei pantaloni neri che rivelano le sue gambe, lunghe e ben fatte. Il suo volto è delicato, con occhi color nocciola, e denti che illuminano l’espressione ad ogni sorriso.
I capelli li porta sempre legati, con degli elastici rossi a formare una coda alta dietro la nuca. Sono lunghi, scuri e grossi e formano una foresta ordinata e pulita che fa da cornice.
Carlotta è al secondo anno di giurisprudenza e non ha molta voglia di studiare.
Sono in cucina. Irene si sta preparando il pranzo da portare a lavoro e Lotta, come la chiama la sua amica, scorre, annoiata, la sua bacheca di Facebook alla ricerca di un evento dove trascorrere la serata con gli amici.
“Cosa stai leggendo?”
“Niente Irene, mi prende così male ogni volta, perché due anni fa ero esattamente qui a vedere cosa “accadde oggi” di due anni prima e lo avevo anche postato!”
“Lotta mia, meno male che ci sei tu che mi fai divertire!”
“Lo so che ti faccio divertire ma so anche che a te non serve rivedere cosa facevi, tu sai sempre tutto.”
Carlotta è già al terzo caffè e non ha fretta di nulla, tanto meno di riordinare la sua stanza.
“Lotta io sto uscendo, ti va sabato mattina di venire con me ad un mercato coperto a San Giovanni? devo fare degli scatti.”
“Si si certo e chi se li perde i tuoi tipi, incontrassi un bel macellaio che mi si sposa”.
I volti, secondo Irene, sono la mappa delle emozioni, dei silenzi e delle passioni che li hanno segnati, e sa fissare tutto in una foto. I mercati rionali della città, le entrate dei grandi uffici in periferia, le manifestazioni di piazza. Ogni luogo è adatto per trovare spunti, attimi di vite intente a vivere e a volte a sopravvivere il momento che li vuole protagonisti o anche solo comparse.
Con Tobia non ha mai potuto fare altro che stampare su carta ogni immagine. Lui non ha mai voluto che ci fossero tracce digitali, lei si è adeguata, senza fatica, alle sue richieste. Una storia, la loro, durata 5 anni. Una vicenda che ha cambiato la percezione stessa dei sentimenti. Ogni foto archiviata nella sua libreria non porta con se solo i colori e i contorni del volto dell’uomo che ha amato più di altri, ma anche la circostanza. Irene ricorda esattamente quando è stata scattata, dove si trovavano e cosa stavano dicendo nel momento in cui venne fatta. Perché lei è una donna che può andare dentro i ricordi della sua vita come nessun’altra persona. Ricorda tutto Irene, grazie a una capacità illimitata di memorizzare fatti e persone, luoghi e date. Tobia lo ha sempre saputo e non lo ha mai rispettato. Ogni scontro era una rappresaglia, una negazione della realtà, il tutto per difendere i centimetri di orgoglio conquistato a loro spese.
Ciao Paola, scusa ma c’era un casino per arrivare”
“Si sì Irene, ho visto non ti preoccupare, appena puoi mettiti a fare la vetrina che sono arrivati i capi nuovi.”
Settembre è il giro di boa del cambio di stagione in un Centro Commerciale: i magazzini già adeguati e le vetrine da rendere sfavillanti. Irene sa fare bene il suo lavoro e con Paola, la responsabile del punto vendita, sono una coppia ben consolidata. Sempre accogliente con i clienti, nonostante il luogo sia a volte estraniante. Riesce a trovare un punto di contatto con le persone che le chiedono un parere sul pantalone, la maglia o la giacca che stanno provando.
“Buongiorno Signora ben tornata.”
Una cliente è entrata nel negozio, e guardando Irene, incuriosita sorride senza parlare.
“La posso aiutare? Poi come è andata con la maglia che ha preso a giugno?”
“Ah, sì ha ragione”. Risponde incredula la signora.
“L’ho presa da voi, ma come fa a ricordarsi?”
“Ci sono clienti che lasciano il segno signora”.
La cliente sorride e guarda Paola, che in lontananza, dalla cassa, osserva e non si fa sorprendere, annuisce e ride alla signora che ormai si muove spaesata nel negozio.
Paola sa bene delle doti mnemoniche di Irene, a volte ci gioca chiedendole di fatti avvenuti in giorni lontani dal presente su clienti passati anche solo una volta.
“Irene le hai messo paura”. Le apostrofa Paola con un ghigno di simpatia sul volto, e intanto la signora è uscita senza dire un parola.
“Lo so Paola, ma a volte quella che ha più paura sono io”
“Perché hai paura?”
“Perché speravo che, con il tempo, la mia sindrome potesse mutare, invece, ciò che mi dissero i medici durante le analisi e gli studi fatti quando ero bambina, è stato tutto confermato dalla mia realtà. Non posso selezionare i ricordi come fanno tutti, non ho un filtro su cui setacciare le immagini brutte e buttarle via, tutto si ferma e tutto viene archiviato in questa testa che mi ritrovo”.
“Prenditene cura della tua testa Irene”. Le dice Paola. “Che non ce ne sono più in giro come la tua”.
Irene, durante la pausa pranzo, preferisce uscire dal Centro Commerciale. Cammina per un po’ e si reca nel parco adiacente la grande struttura. Le piace stare sdraiata sull’erba, ascoltare il silenzio di quella porzione di natura che hanno fatto nascere artificialmente. Guardando il cielo ripensa a quante volte con Tobia si sono sentiti al telefono durante gli anni in cui erano ancora una coppia. Aspettava che lui fosse solo in casa per poterlo chiamare e stavano almeno un’ora al telefono. Ricorda quando quel pomeriggio di marzo, il 4 esattamene che era un martedì nel 2013, litigarono tutto il tempo. Lei stava programmando una bellissima festa per il suo compleanno e lui non faceva altro che lamentarsi di una giornata difficile a casa e a lavoro. Solo la pazienza di Irene fece sì che il compleanno arrivò con tutta la calma del caso e con esso anche il sorriso di Tobia.
I fatti di quella giornata li ricorda benissimo, ci fu un incendio doloso che devastò la Città della Scienza di Napoli e lei aveva dato l’addio al vecchio appartamento. Sua mamma aveva ritirato la mammografia che finalmente scongiurava la fine della cura. E sua sorella maggiore aveva preso un nuovo incarico nell’ufficio di Milano.
Mentre stava quasi per assopirsi le arriva un messaggio. Apre la chat e legge la sigla con cui Tobia era registrato nel suo telefono. Erano 120 giorni che non le scriveva più. Da quando decise che la loro storia era da portare a termine. Isolandosi di fatto in un silenzio quanto mai inutile.
“Ci possiamo vedere giovedì sera al solito bar?”
Lei non se lo aspettava, legge il messaggio e senza pensarci troppo risponde con un anonimo “si”.
“Lotta eccomi tesoro”. Dal citofono di casa Irene chiede all’amica di aprire il portone. Un rituale che sa di famiglia e affetto. Si sostengono e si sanno ascoltare. A volte ci scherzano, ma spesso lo combattono isolandosi ognuna nella sua camera.
“Oggi mi ha scritto Tobia”
“Ah! e cosa dice il genio?”
“Se ci vediamo giovedì dopo il lavoro”
“Ci andrai?”
“Non ne capisco il senso, ma farò la mia parte, alla rabbia ormai ho sostituito l’indifferenza, e se vorrà parlare saprò cosa dire, non temere”.
Dopo cena, le due amiche, hanno l’appuntamento fisso con la serie tv preferita. Una vicenda sul mondo perfetto delle famiglie americane che crollano sotto i colpi di tradimenti e destini messi a nudo come un albero sotto un temporale.
“Io nella vita non voglio altro che stare in casa”, esordisce Carlotta appena finita la puntata in tv.
“Non ho pruriti da femmina provocante. Io voglio la copertina in pile la sera su un divano e la mano di un uomo da stringere davanti a un film horror e nel caso ne avesse voglia gliela faccio mettere dove vuole se serve a farlo felice, a modo suo“.
“Lotta… ma che dici!”
“Senti Irene, io sono una donna d’altri tempi. A me di lavorare tutto il giorno non mi va, vorrei una casa da curare e un marito da aspettare la sera, cucinargli quello che più gli piace e vederlo sorridere accanto a me.”
“Si certo e fuori casa un mulino che gira tutto il tempo. Lotta sei davvero di un mondo immaginario.”
“Io vado a dormire che domani avrei un esame, non fare tardi Irene e non pensare troppo cosa dirai a quel beota giovedì, tanto non ne vale la pena.“
Irene non ha alcuna strategia, sa bene che non è più tempo di ripicche e scatti di orgoglio. Dietro di se ha tutto chiaro e davanti non vuole più soffrire. La consapevolezza di quanto è accaduto le ha dato forza, aver lasciato la presa è stato il gesto più coraggioso che poteva fare. Mollare la cima che la legava ad una riva che non nutriva, stringeva un mano che di fatto era attaccata per rabbia.
La storia le ha insegnato a capire il presente, lo faceva a scuola, ricordando tutto quello che le facevano studiare, lo ha fatto nella vita, ricordando ogni passaggio in casa con i suoi genitori, ogni vicenda vissuta da amici e parenti. Tutti tornavano da lei per chiedere cosa accade in un determinato giorno o cosa avevano detto davanti a certi fatti. Un moderno oracolo di Delfi con cui si proteggevano prima di ogni decisione.
Ma in amore, purtroppo, non va sempre così, le parti in gioco si proteggono e si chiudono dietro le loro verità e la storia può essere letta da punti di vista diversi. Ciascuno usa il suo amore per negare la realtà. Ma la sua sconfinata capacità di ricordare, non può essere travisata, i dettagli di promesse, i confini di certe decisioni prese non li può negare nessuno.
Tobia aveva fatto il suo gioco senza contare che la fuga da casa nessuno gliela aveva chiesta. Irene non avrebbe mai accolto un uomo che scappa dalla sua famiglia. Ne era consapevole e non lo aveva mai portato dalla sua parte con i mezzi usati da donne più semplici. Lo aveva amato per quanto poteva dargli, senza pretese. Tobia, nell’ultimo anno insieme, negava il suo coinvolgimento. Non accettava più la parte di uomo innamorato. Pretendeva un’amicizia che mai avrebbe rispettato cosa aveva vissuto con Irene.
Giovedì sera non cambierà la storia e tanto meno il presente.
Irene, quando vuole farsi del bene, affronta dei viaggi nel tempo che solo lei può intraprendere. Usa di solito aprire una pagina di una vecchia agenda e si ferma su un giorno a caso da cui prende il via mettendo in ordine tutti i fatti accaduti. Telefona all’amico o alla sorella o ai genitori che nel viaggio rivede intenti a fare o a dire cose che loro mai si ricorderebbero. Gli espone i fatti così come se stessero accadendo in quel preciso istante.
Altre volte, dalla sua libreria, prende una fotografia, rilegata nei vecchi portafoto con la carta velina in mezzo.
Una foto ingiallita in cui sta camminando con la sorella lungo i viali di Villa Borghese, 10 anni lei e 13 la sorella. Vestivano con dei pantaloni stretti in vita e larghi in fondo, lei portava un maglia con su scritto “I Love NY”. Avevano appena lasciato le biciclette affittate per cinque mila lire l’ora e pagate dal padre. Era il 25 aprile del 2001 e la donna più bella al mondo era stata eletta una indiana. La mamma non era andata perché aveva litigato con papà sulla possibilità di non fare alcun viaggio nell’estate che si stava affacciando su una Roma già molto calda.. Nessuno dei due aveva intenzione di cedere sulla posizione e di fatto vennero allo scontro.
La massa di ricordi che Irene ogni volta deve affrontare è esibita in uno schema perfetto, un software mentale che gestisce input e risponde con dati e luoghi archiviati e tenuti in riga alla perfezione.
Al contrario di altri casi di persone affette della stessa sindrome, Irene convive bene con la sua memoria. Riesce a non rimanerne schiacciata.
Chiunque altro, davanti alla foto, avrebbe ricordato forse l’anno in cui venne scattata, o niente più. Irene, invece, entra nella foto, cammina nei viali sotto l’orologio ad acqua che si estendono fino alla Terrazza del Pincio. Faceva caldo quel giorno di inizio primavera, a pranzo mangiarono dalla zia al quartiere Prati e presero il gelato, nel pomeriggio, a via del corso da Gelarte.
Ogni volta che attiva un ricordo si sente come un atleta in palestra, il viaggio mentale è un esercizio con cui rimette in ordine alcuni dei cassetti dei ricordi. Nello stesso modo con cui, a lavoro, ripone i capi di vestiario sugli scaffali, ordinandoli per taglie e colori, in tal senso, più memorizza e meglio ricorda. In cuor suo sa che sta preparando l’incontro con Tibia e con una vicenda che l’ha portata a inscatolare una quantità enorme di ricordi, ma al contrario delle foto che ha archiviato nella sua libreria bianca, le vicende vissute con lui le ha congelate. Non le ha rimosse, ma ha semplicemente attivato un processo di criogenesi, attraverso il quale ha bloccato il sistema, raffreddato le emozioni, inspessito le fibre che alimentavano un processo che ha unito due cuori per tanti anni.
Sarà disposta a sbloccare il cassetto della memoria, aprirlo ed entrarci dentro solo se ci sarà una iniezione di fiducia, un uso di sostanze necessarie a rimettere in circolo la voglia di crescere come coppia e capire cosa è accaduto proponendo una nuova stagione insieme.
“La cosa che mi fa ha fatto più male è non aver avuto strumenti maturi per affrontare questa tua scelta di andartene per sempre. Senza dirmi una parola, un gesto di amore, non voler capire che io ti amavo ed ero sempre la stessa persona, solo che non lo volevi capire.”
Irene e Tobia sono al bar davanti le poste centrali del quartiere Piramide. Un chiosco a forma di piccolo tram e sul retro dei tavolini all’ombra di un pergolato. Ci sono stati tante volte, e per ognuna di esse conservano una foto in bianco e nero e i ricordi di Irene. Tobia è arrivato con qualche minuto di ritardo, doveva accompagnare il figlio maggiore ad una visita medica, non si sono neppure sfiorati. La ragazza del bar li ha riconosciuti e senza chiedere nulla gli ha portato due caffè, al vetro, come lo prendevano sempre e con poco zucchero.
“Dopo che mi hai spedito quella nostra ultima foto ci ho sperato Tobia. Ho rivisto gli stessi occhi che amavo e che ho rispettato sempre.”
Irene è calma e parla con un tono di voce limpido, non gesticola e guarda Tobia negli occhi. Lui non regge il confronto, è impacciato e scomodo.
“Ti ho parlato con il cuore chiamandoti “amore” dopo più di tre mesi di buio. Ti ho aspettato dietro i tuoi silenzi, sperato che tu potessi ritrovare la strada di un cuore che si era messo in difesa non si sa di cosa”
Tobia porova a ribattete , ma non come vorrebbe, incerto e sotto tono, manifesta una sconfitta latente.
“Irene per favore, non sono qui per rifare il percorso degli ultimi mesi, voglio solo poter lasciare tutto alle spalle e guardare avanti, consapevoli di non farci altro male. “
Ma Irene sembra non ascoltarlo
“Tobia io so cosa abbiamo detto in tanti anni. Sai che la mia memoria sa essere anche dolore, senza filtri, senza difesa. Per ogni giornata assurda c’è stata una mia reazione, un voler capire cosa ti stava accadendo, perché hai riversato ogni tua frustrazione contro di me e non su di me. Poi scopro che da due anni, il tuo, non era più amore, ma nel frattempo dove eri? Io posso rivedere ogni giorno passato, dove eri e cosa facevi, una memoria analogica che segue le emozioni e spesso le anticipa. Pensi ancora oggi che io credevo alla tua bella famigliola che tutti vedevano? Mi hai parlato di non fidarti più del nostro rapporto, senza pensare alle ripercussioni di un cuore che stava cercando solo di far pace con i tuoi occhi.”
La disamina di Irene è perfetta, ripercorre ogni singolo evento con la sicurezza di averlo visto e rivisto decine di volte. Troppo tempo senza un confronto, se non hai punti di rifermento, una controscena con cui raffrontarti, radica certezze errate. Ti appoggi a scomodità che sono di parte e mal interpretate. Irene, da parte sua, ha la fatica del ricordo, la condanna di rivedere tutto ogni volta che chiude gli occhi ed è sola con la sua memoria. Il disgelo, che aveva sperato anche solo per un attimo, non c’è stato. Tobia ha mollato ogni ormeggio ed è salpato verso una terra senza radici, ha prosciugato ogni germoglio e si è chiuso in un angolo senza più nutrimenti.
Irene sta camminando verso la metropolitana, lungo la via ci sono bar e ristoranti pieni di clienti, non vede altro che il presente che le scorre davanti, non ci sono cassetti legati a quei luoghi, non più.
Non ci sono memorie con cui fare i conti. La parte sana della sua sindrome ha fatto un passo avanti o forse, il superamento di un dolore tanto grande, l’ha aiutata ad anticipare l’inclinazione a perdersi nei ricordi. La difficoltà di partecipare alla vita presente e prevederne una futura non ha più forza. Ora vede un domani disegnato di suo pugno, senza immagini statiche, estenuanti e incontrollabili.
“Lotta, eccomi tesoro”. Un abbraccio sulla porta di casa è tutto ciò di cui aveva bisogno. La speranza di essere li ora e adesso è certa. Non ci sono più desideri inesorabili. Non ci sono più memorie eversive. Ora c’è un divano, una chiarore più intenso e una volontà nuova di dimenticare, se serve.