Raoul Bova è “Il Nuotatore di Auschwitz” in una storia di resistenza

La piscina vicino a casa mia è un luogo di routine per mia figlia Giulia, una giovane nuotatrice di 22 anni, che si allena con grande dedizione. In alcune delle sue sessioni, la vasca è condivisa con Raoul Bova, attore noto a tutti, ma per chi ha seguito anche le sue radici, non è solo uomo di spettacolo. Con i suoi 53 anni, Bova dimostra una resistenza e una passione per il nuoto che non è mai venuta meno, neanche dopo aver abbandonato la scena agonistica.

Il suo passato da campione giovanile italiano non è qualcosa di cui si parla spesso, eppure l’impronta lasciata da quegli anni sembra indelebile.

Quando Giulia racconta dei suoi allenamenti in vasca, non posso fare a meno di pensare a quanto sia comune, per chi ha eccelso in uno sport, rimanere legato a quella passione per tutta la vita. È come se, anche quando si abbandonano le competizioni ufficiali, qualcosa di quel mondo rimanga per sempre dentro di te, un fuoco che continua a bruciare. Non serve essere stati campioni in gioventù per capire questo legame: che tu sia un amatore o un ex atleta professionista, lo sport rimane un filo conduttore.

La passione di Raoul Bova per il nuoto non si è mai spenta, e oggi questa passione si intreccia con la sua carriera attoriale in maniera potente e significativa.

Sta portando in scena “Il Nuotatore di Auschwitz”, una pièce teatrale che racconta la storia vera di Alfred Nakache, un nuotatore francese di origine ebraica, detenuto nel campo di concentramento di Auschwitz durante la Seconda Guerra Mondiale. Nakache, nonostante le privazioni e le atrocità che ha subito, non ha mai smesso di allenarsi, tuffandosi nelle acque gelide di un bacino idrico all’interno del campo.

Il parallelo tra Nakache e la storia personale di Bova è impressionante. Se da un lato c’è l’attore che racconta la storia di un nuotatore segnato dall’orrore della guerra, dall’altro c’è l’ex atleta che ha vissuto in prima persona le emozioni, le sfide e la dedizione richieste da uno sport come il nuoto.

È proprio questa sintonia tra le esperienze personali di Bova e la vicenda di Nakache che conferisce alla rappresentazione teatrale una profondità unica. Il regista Luca De Bei ha costruito uno spettacolo che, pur toccando tematiche cupe e dolorose, è allo stesso tempo luminoso, grazie alla figura resiliente di Nakache e alla filosofia di vita dello psichiatra Viktor Frankl, anch’egli prigioniero ad Auschwitz.

Un messaggio di speranza e determinazione

Alfred Nakache non è solo un simbolo di resistenza fisica, ma anche di forza mentale e spirituale. Dopo essere sopravvissuto all’orrore del campo di concentramento, è tornato a gareggiare, stabilendo nuovi record e partecipando alle Olimpiadi di Londra. Il suo coraggio e la sua determinazione dimostrano che, anche nei momenti più bui, lo sport può rappresentare una via di fuga, un rifugio, un motivo per andare avanti.

Il messaggio centrale dello spettacolo è chiaro: vivere è anche sofferenza, ma trovare un senso in quella sofferenza, puntando sempre al futuro, può aiutare a superare le sfide più dure. Viktor Frankl, con la sua filosofia sull’importanza di trovare uno scopo nella vita, è la perfetta controparte intellettuale della storia istintiva e fisica di Nakache. Insieme, questi due uomini offrono al pubblico uno specchio nel quale riflettersi, ricordandoci che, per quanto possano essere grandi le difficoltà, c’è sempre un motivo per continuare a lottare.

Lo sport come metafora della vita

Questa storia tocca profondamente chiunque abbia una passione sportiva, perché lo sport, più di tante altre attività, ci insegna la resilienza, la disciplina e il coraggio di affrontare le sfide. Raoul Bova, attraverso la sua interpretazione, ci ricorda che non importa quanto tempo sia passato dall’ultima volta che abbiamo gareggiato o nuotato in una corsia: se lo sport ha fatto parte di noi, lo porteremo sempre con noi, in ogni fase della vita.

“Il Nuotatore di Auschwitz” non è solo una lezione di storia, ma una riflessione universale sulla capacità dell’essere umano di resistere, di trovare un senso anche nelle situazioni più disperate, e su come lo sport possa diventare un mezzo per sopravvivere e rinascere.

E così, ogni volta che vedo Giulia allenarsi nella piscina vicino casa, accanto a Raoul Bova, non posso fare a meno di pensare a quanto il nuoto, e lo sport in generale, ci unisca tutti in un percorso di continua ricerca del nostro meglio, indipendentemente dall’età, dalle circostanze o dai riconoscimenti ufficiali.

Da oggi iniziano le repliche al Teatro Parioli Costanzo di Roma – qui le date

Marco Raffaelli
Appassionato dello sport e di tutte le storie ad esso legate. Maratoneta ormai in pensione continua a correre nuotare pedalare parlare e scrivere spesso il tutto in ordine sparso