C’è stato un momento in cui hai fatto il tifo per Diego. l’attimo esatto in cui indossava la maglia dei super eroi.
Diego faceva ciò che un campione sa fare, portare la felicità facendo la cosa più bella del mondo, giocare.
Ma nel contempo è stata l’incarnazione di tutte le vite del mondo, dalle più alte, fino ai lati più oscuri dell’animo umano, presagio di una fine troppo veloce ad arrivare.
Lo abbiamo amato, venerato, imitato e preso ad esempio su ogni campetto di calcio, con una punizione o passaggio impossibile da compiere per noi campioni sotto casa.
Ci ha dato la prova che lo sport ti può salvare e portare via da una favelas, scappando dalla fame e dalla povertà.
Ha salvato un mondo intero con 4 sorelle, mamma e papà.
Ha provato che la responsabilità di crescere troppo in fretta per fare soldi per tutti ti può schiacciare e non farti vedere bene che orizzonte hai davanti.
Diego è tutto questo e tanto di più.
Le sua vita divisa in due come le strisce di coca che per anni ha sniffato e che gli hanno imposto di morire e rinascere chissà quante volte.
Noi, nel frattempo, lo abbiamo sempre atteso, coscienti e increduli che fosse immortale.
Vogliosi di vederlo ancora come era con la maglia del Napoli.
Ma la vita è un treno che non fa fermate a richiesta e Diego si è sempre fatto aspettare.
Ha gestito male i diversi momenti, si è ripreso l’esistenza che quella crescita veloce fatta di soldi malaffari pessime compagnie che gliela avevano portato via.
Ci ha provato a rifarsi una vita.
Con i figli, tanti, con i paesi in cui ha vissuto, le squadre che ha allenato, compresa la sua Argentina che a furor di popolo prese e portò ai quarti di finale del mondiale in Sud Africa.
Per noi non è possibile che sia morto, non ci crediamo e siamo certi che Diego sia ancora vivo e che stia ridendo e ballando come faceva quando era felice.
Come quando era in campo e diceva che sul manto verde dimenticava ogni pensiero e c’era solo lui e le sue azioni.
Addio uomo fragile