Per noi sarai sempre il numero uno

Avete mai preso parte ad una 24×1 ora?  Una competizione in cui si deve correre per 60 minuti sull’anello di 400 metri di una pista di atletica, cercando di coprire la massima distanza possibile.

Una  gara che si porta a termine in un team di 24 atleti, che si avvicendano ogni ora.

Per noi stradaioli ma anche per chi la pista la ama e la rispetta, 60′ sono un’eternità.

Pensate di correrci per 1440 di minuti, un tempo impensabile per tutti, e di dover arrivare a coprire una distanza superiore ai 303,506 km, ovvero 759 giri di pista, il record del mondo stabilito nel 1997 da Yannis Kouros il “Dio greco della Corsa”.

Quello che è successo tra venerdì e sabato in Norvegia sulla pista di Måndalen rimarrà impresso a molti.

Almeno a tutti quelli che hanno avuto la fortuna di vedere e conoscere Kilian Jornet Bourgada.

Kilian è il più forte atleta di corsa in montagna, spagnolo, specializzato nell’ultratrail.

L’uomo che vanta un curriculum che mette i brividi, andate a leggere cosa ha fatto e capirete ancora meglio.

Vedete i video sul suo canale youtube e ve ne innamorerete per la facilità con cui corre, per l’estasi che trasmette ad ogni passo sui crinali di mezzo mondo.

L’operazione organizzata dalla Salomon, main sponsor di Kilian, è a dir poco proibitiva per noi criceti al caldo delle piste in città, ma non per chi ha stabilito il record di salita e discesa del Cervino da Breuil-Cervinia, con il tempo di 2 ore, 52 minuti e 2 secondi, impiegando 1 ora, 56 minuti e 15 secondi per la salita e circa 55 minuti per la discesa.

Almeno così pensavamo tutti.

Cosa è successo venerdì notte?

Kilian durante la prova in pista

Kilian dopo 11 ore di gara si è ritirato.

La gara è iniziata bene, ha commentato il giorno dopo l’atleta spagnolo.

Tutto normale, piccoli alti e bassi, alcuni dolori, normali, come previsto fino a subito dopo le 10 h, quando improvvisamente ho sentito 2 dolori consecutivi di oppressione al petto. Mi girava la testa, arrivano le cure mediche, e l’ambulanza mi ha portato all’ospedale dove ho fatto dei test e sono rimasto in osservazione tutta la notte.

Ora Kilian sta bene, nessun grosso problema, ma sarà bello fare ulteriori test ha detto ai giornalisti.

Andrea Accorsi, esperto ultra maratoneta, all’indomani della gara ha scritto una bellissima lettera sulla sua pagina facebook al suo amico. Un’analisi dove ha tirato fuori il dolore di chi ama questa specialità e ha sofferto per come è stata gestita e portata avanti nei confronti del campione spagnolo.

Quello che mi fa male, scrive l’atleta romagnolo, da innamorato cronico dello sport “di fatica”, è averti visto come oggetto della fatica e non più come soggetto. Di una fatica inutile, o perlomeno utile ad altri, fine solo al sistema che si è messo in moto intorno al tuo, di moto fisico, e non più fine alla sublimazione di ciò che sei sempre stato (e che sarai comunque anche in futuro), un esempio.

In tanti eravamo impauriti che si sporcasse con il fango della fatica di noi umani, che il dio dei Pirenei si arrendesse alle debolezze di noi uomini d’asfalto e tartan, e così è stato.

Perché tu sei sempre stato, e lo sarai sempre, uno spettacolo dell’estetica, del gesto, della volontà, della determinazione, della corsa pura e nuda. Non era necessario metterti un “costume” addosso per abbellirti ulteriormente, sei già stupendo di tuo, prezioso come pochi.

Andrea lo descrive come un critico d’arte può fare con un’opera del Rinascimento italiano.

È appassionato Andrea e teme che l’uomo non sia stato rispettato per abbellire ancora meglio un brand, infarcire un fatturato di nuovi zeri in quest’anno senza una direzione commerciale precisa per nessuno.

Ma non è stato così. Analisi così spicciole le lasciamo a chi si riempie la bocca di fumo, saggezze del momento, improvvisazione arricchita da paragoni impossibili, assurdi per il fatto che non hanno cognizione alcuna dell’argomento. 24 ore in pista sono il penultimo anello dell’inferno atletico, l’ultimo sono 6 giorni, spiega con cognizione di causa Andrea.

Una domanda che Andrea ha posto al campione e che sposiamo nella sua forza e unicità e ribadiamo oggi che tutto è passato.

Kilian ti sei divertito?

Eri lo stesso che salta da una forcella all’altra sulle skyrace del mondo come se fossi un capriolo in libertà? o ti sei sentito criceto di città in una gabbia da 400 metri freddi come la giostra che ti ha pagato quel biglietto senza prezzo?

Non è andata come pensavo. Hai detto. Mi aspettavo di entrare in quella zona del dolore per spingere il mio corpo ma mi sono rotto in un altro modo.

Kilian forse avrebbe ottenuto di più se avesse fatto il tutto come un “fantasma“, con meno pressioni, meno clamore in caso di abbandono, meno danni eventuali per l’immagine di Salomon visti i commenti letti…

Molti dicono che si poteva fare altrove, in un posto più caldo e al sole o in un altro periodo dell’anno. Commenta Luca Podetti in un post.  In questo Kilian è stato coerente con il suo modo di pensare e di vivere. In un periodo particolare come questo ha giustamente deciso di non spostarsi, di non prendere aerei, di non inquinare e di rispettare il lockdown.

Perchè questa operazione è “figlia” della pandemia. Con essa siamo passati dall’allegria festosa degli eventi trail in cui la competizione spalla a spalla è vissuta in mezzo a favolosi scenari naturalistici circondati dal tifo,  a malinconiche visioni notturne su un anonimo tartan sperduto in “non si sa dove”.

La solitudine di Kilian sulla pista norvegese a zero gradi

La corsa di venerdì notte, senza spettatori, dove il senso di distaccamento, solitudine e tristezza invadevano le incessanti, immutevoli e sempre identiche riprese televisive.

Ti abbiamo visto di fianco, davanti, di schiena per ore ore e ore, noi abituati a vederti alla partenza e all’arrivo delle lunghe gare in montagna, su quella pista buia e fredda eravamo avvolti in una spirale di considerazioni amare sulla reale utilità di eventi in questo periodo della nostra vita…

Ciò nonstante, per noi, rimarrai sempre il numero uno.

Marco